Capitolo nono

Psicopatologia

Lo scopo principale di questo libro è mostrare chiaramente il dinamismo psichicoche in generale è alla base dei fenomeni psicopatologici. Non tenteremo nemmeno di descrivere dettagliatamente le differenti forme di psiconeurosi e di psicosi. A scopo illustrativo, non verranno riportate le storie di casi clinici per intero, ma ne saranno dati solo degli estratti. Ciò che abbiamo detto circa le difese dell'io, aiuterà a comprendere i fenomeni psicopatologici. Ogni volta che una condotta sana e integrata cede, gli impulsi primitivi si emancipano dai modelli accettati, e l'io usa contro di essi vari meccanismi di difesa. La natura di una neurosi o di una psicosi è in gran parte determinata dal carattere delle difese che l'io sceglie a sua salvaguardia. Talune ripetizioni saranno qui inevitabili, per poter dare un quadro completo del problema delle neurosi.

I. DEFINIZIONE DELLA NEUROSI

La neurosi è una malattia. Sebbene per molti lati essa differisca radicalmente da altre malattie, ha però una caratteristica comune alla maggior parte di esse: causa pena e disagio. Come ogni male, essa è anche radicata nei disturbi funzionali dell'organismo. Quasi tutte le malattie fisiche toccano uno o più organi; nella neurosi, è perturbato il nucleo centrale coordinatore dell'organismo, e cioè, l'io.

L'io è quella parte dell'organismo che ha il compito di appagare armonicamente i nostri bisogni e i nostri desideri. Questi sono spesso in conflitto tra di loro e con le condizioni esterne. L'io deve tener conto di desideri, interessi e criteri diversi, e deve barcamenarsi, dando a ciascuno di essi la maggior soddisfazione possibile, anche quando vengono in conflitto tra di loro e con l'ambiente. Ogni volta che l'io si dimostra incapace di adempiere a questo compito, noi parliamo di fallimento della sua funzione coordinatrice e regolatrice. É questa è l'essenza della neurosi.

Un io sano può essere paragonato a uno stato democratico che riconosce tutte le esigenze private, le ascolta, e cerca di andare incontro agli interessi contrastanti, funzionando da mediatore e stipulando compromessi. Il che assicura uno stato di cose sicuro, ma fluido. La personalità neurotica può paragonarsi a un governo autocratico che sopprime tutte le opinioni e tutte le aspirazioni non conformi ai suoi princìpi di governo. Sino a che le idee ribelli e le esigenze del popolo possono essere controllate da una legge ferrea, l'unità prevale; essa è costruita, però, su fondamenta vulcaniche. Quando l'autocrazia si indebolisce, i ribelli fuori legge insorgono e distruggono l'intero sistema. La energia spesa nel tenere sotto controllo i desideri sfrenati, non è usata in modo costruttivo. La paura e la coercizione sono i soli moventi delle azioni, come comprovano chiaramente la sterilità culturale e la mancanza di spirito creativo esistenti nei regimi totalitari.

Una personalità neurotica può paragonarsi, dunque, a un paese di questo genere, povero di iniziative, governato per mezzo della paura e della coercizione. L'analogia però non deve essere spinta troppo oltre: torniamo, ora, ai fatti specifici riguardanti la personalità umana. Il fattore centrale dinamico nelle neurosi è la repressione, e tutte quelle misure difensive mediante le quali l'io tenta di tener fuori dal suo territorio tutti gli impulsi inaccettabili.

Come abbiamo visto, la repressione è cosa normale nel bambino, ma indesiderabile in un individuo adulto. Naturalmente, anche una persona sana ricorre a un certo punto perfino alla repressione. Soltanto un io idealmente perfetto potrebbe funzionare senza di essa. L'io si sviluppa mano a mano che l'individuo cresce. Esso non fa parte del nostro corredo ereditario, ma è un prodotto dell'apprendimento. Tuttavia, bisogni e impulsi quali la fame, la sessualità e la brutale aggressione esistono in noi sin dal principio. È compito dell'io coordinare questi impulsi e i loro derivati, e appagarli tenendo un adeguato conto delle condizioni naturali e sociali. Esso deve imparare a esercitare questa complessa funzione esecutiva. Nei bambini piccoli esistono soltanto gli elementi costruttivi del dinamismo — gli impulsi primitivi — e con essi deve essere costruita la persona socialmente equilibrata.

Le pulsioni che il bambino reprime perché il suo io non può governarle, in seguito diventano per lui un problema. La loro pressione si fa sentire ogni tanto, ed egli deve prendere delle misure difensive per tenerle fuori dalla propria coscienza. Questi impulsi repressi e inconsci si conservano nella loro forma originaria come in un frigorifero, e affiorano nei sogni in immagini strane e incomprensibili — il linguaggio della mente infantile — e nella vita cosciente in sintomi neurotici, in ansietà irragionevoli, in ossessioni e in un comportamento impulsivo.

La nostra prima domanda, allora, è: perché la neurosi non si sviluppa in tutti gli individui? Tutti gli uomini hanno esperienze infantili similari, ciascuno deve reprimere alcuni dei suoi impulsi primitivi, perché l'io infantile era debole e non poteva assimilarli, controllarli e modificarli.

Innanzi tutto dobbiamo ricordare che la neurosi non differisce interamente dalla normalità. La psicologia della neurosi e della normalità è la medesima, come qualità: le differenze sono quantitative. Abbiamo visto che la repressione non è un metodo efficace per adattare i nostri bisogni alle esigenze della vita. Essa non consente di modificare gli impulsi non sintonizzati. Ciò che viene represso non è più suscettibile di educazione, essendo questa una funzione della mente cosciente. È vero che l'unità dell'io viene preservata con l'esclusione di ogni cosa che possa turbarla; ma costa caro. L'energia repressa è perduta per l'attività estroversa, e l'io ne risulta impoverito. Inoltre, poiché gli impulsi repressi continuano a sussistere, la necessità di una difesa costante contro di essi, consuma tutte le energie disponibili. Il che non solo significa un ulteriore impoverimento, ma costituisce anche una minaccia. È ovvio allora, che quanto meno il fanciullo deve reprimere, e più il suo adattamento si basa su un controllo efficiente, tanto maggiore sarà il suo sviluppo.

Noi abbiamo paragonato l'io sano a un governo democratico, il quale permette la manifestazione di necessità particolarmente private. Certo non tutte le aspirazioni possono venire soddisfatte nella loro forma originaria. Nondimeno, il sistema parlamentare concede la libertà di parola e la discussione, che conducono a transazioni, le quali, per quanto possibile, conciliano tutti gli interessi.

L'io cosciente adempie in seno alla personalità a questa funzione. È perciò importante che i desideri contrastanti diventino coscienti. Alcuni debbono essere modificati radicalmente, altri respinti nella loro forma originaria, per poter salvaguardare interessi più importanti. La soluzione finale è un compromesso che concilia le diverse necessità, tenendo conto della loro relativa importanza e delle circostanze. L'io, dunque, deve essere perfettamente al corrente dei bisogni subiettivi e deve conoscere le condizioni da cui dipende il loro soddisfacimento. Esso deve mettere a confronto i fatti che lo riguardano direttamente con quelli del mondo circostante. I desideri repressi sono esclusi da questo processo di mediazione e di transazione. Poiché essi giacciono nell'inconscio, non è possibile accedervi per armonizzarli sia con altri bisogni, sia con l'ambiente.

L'io dell'infanzia e della prima fanciullezza è troppo debole per giudicare, per sopportare frustrazioni e rinunce, e perciò deve escludere dalla coscienza molti desideri. Allora, come può l'io apprendere la sua funzione coordinatrice?

La repressione opera seguendo schemi automatici, quasi come un riflesso. Una volta che il fanciullo abbia avuto paura di esprimere i suoi impulsi ostili e abbia imparato a reprimerli, viene stabilito un modello di comportamento, e l'io tende a reprimere tutti gli impulsi ostili. Ne risulta una persona timida, inibita, che non potrà mai affermarsi nella vita successiva. Un bambino a cui è stato insegnato a reprimere tutti gli impulsi sessuali, più tardi troverà che tutti gli impulsi sessuali provocano ansietà e senso di colpa. (La frequente lagnanza che più del 50% delle donne sono sessualmente frigide, si spiega con la repressione radicale degli impulsi sessuali, avvenuta nei primi anni di vita.)

Può sembrare un miracolo che ogni io diventi abbastanza forte da raggiungere un adattamento adeguato. Nondimeno, se un bambino non viene impedito troppo rudemente nella manifestazione dei propri impulsi sessuali o aggressivi, egli sarà in una posizione migliore per modificarli gradatamente e per adeguarli ai criteri sociali. Il sano sviluppo dell'io non è affatto basato su un licenzioso appagamento di tutte le tendenze. Tuttavia per poter lavorare sugli impulsi come su un materiale greggio — e non si può lavorare con materiale diverso — essi debbono diventare coscienti. Non è molto difficile stabilire in linea teorica quali sono gli atteggiamenti dei genitori che permetteranno l'espressione e la graduale modificazione degli impulsi naturali del fanciullo. L'applicazione pratica di questi princìpi, però, è una questione del tutto jdiversa.

Noi abbiamo visto che l'io di ogni fanciullo è troppo debole per regolare il difficile equilibrio dei diversi bisogni. Per proteggersi dalla frustrazione e dal dolore egli perciò tende a reprimere quegli impulsi che lo turbano. Meno viene usato questo processo drastico, minori probabilità esistono che nella vita successiva sorga la neurosi. La democrazia si deve acquisire attraverso l'educazione. L'io deve imparare, inoltre, a conciliare desideri e condizioni date, e può impararlo solo se gli si dà modo di venire alle strette con gli impulsi. Esso non può sentirsi padrone della propria funzione esecutiva, se reprime quelle forze che dovrebbero essere armonizzate. Mano a mano che attraverso l'esperienza acquista un potere coordinatore e integrante, l'io diventa sempre più capace di sopportare frustrazioni temporanee, e di controllare, modificare e armonizzare le proprie necessità con i criteri riconosciuti.

Ogni esperienza che ha un effetto schiacciante e intimidatorio si chiama traumatica, e favorisce la repressione, ostacolando così le possibilità che l'io ha di imparare come trattare i propri impulsi originali, i quali debbono venire sintonizzati.

La gravità delle prime esperienze traumatiche varia da persona a persona. Il fattore più importante è l'atteggiamento dei genitori. La psichiatria prefreudiana era molto più accettabile da parte dei genitori, perché molti punti oscuri negli stati neurotici e psicopatici erano addebitati all'ereditarietà. L'ereditarietà è una forza maggiore; è inalterabile e non comporta responsabilità. Inoltre, il biasimo è condiviso dai nonni e dagli avi — per fortuna — di entrambi i genitori. La teoria psicoanalitica fa risalire l'origine delle neurosi al primo influsso dei genitori sui figli, sebbene non neghi del tutto l'importanza della ereditarietà. Le stesse influenze dei genitori possono danneggiare un bambino che abbia avuto in retaggio una particolare sensibilità, più che un altro, di razza più robusta. L'ereditarietà è un fattore, ma la psicoanalisi ha dimostrato che in aggiunta all'ereditarietà, anche le esperienze dell'infanzia concorrono alla formazione delle neurosi. Certe esperienze sono accidentali, ma la maggior parte — e la più impor tante, persistente e insidiosa — consiste nell'influenza ininterrotta degli atteggiamenti dei genitori. Dipende soprattutto dai genitori, se l'io del fanciullo verrà incoraggiato a imparare come comportarsi con i propri bisogni e impulsi, o si sottrarrà al suo compito mediante la repressione.

Dobbiamo adesso rispondere a un'altra domanda importante: perché una persona con repressioni infantili rimane libera dalla neurosi per un considerevole periodo di tempo, e vi soggiace in un periodo susseguente della sua vita? Alcuni di noi non sono mai più infastiditi dai vecchi problemi. Perché altri vi soccombono? Le prime fasi dello sviluppo dell'io, esposte agli influssi familiari, non spiegano interamente le origini della neurosi, né il suo comparire a una certa epoca della vita. Debbono esservi altri fattori che spiegano il formarsi di una vera neurosi. Le prime esperienze sono responsabili di certi punti deboli che in molti casi, però, non conducono mai alla neurosi, a meno che non entrino in giuoco altre influenze. La neurosi risulta dal fallimento dell'io nel coordinare armonicamente le varie necessità tra di loro, e con le condizioni esterne.

Tenendo conto delle sensibili differenze individuali, tale capacità è sempre limitata. Nulla lo ha dimostrato più chiaramente dello spaventoso esperimento psichiatrico fornito dalla guerra. A Guadalcanal un gran numero di marittimi, individui accuratamente selezionati, equilibrati e solidi, mostrarono gli stessi impressionanti sintomi neurotici sotto lo sforzo prolungato. Ciascuno può essere sottoposto a esperienze così soverchiami da sorpassare la capacità funzionale dell'io. Naturalmente un io vulnerabile cederà a una pressione minore di quella occorrente per un io più forte. Una persona eccezionalmente equilibrata cede soltanto sotto uno sforzo eccezionale e prolungato.

Le prime scoperte della psicoanalisi influirono su molti di noi, portandoci a minimizzare l'importanza delle circostanze, vere cause della neurosi. Noi le consideravamo semplicemente quali «fattori precipitanti», cercando nell'infanzia la causa reale. Tuttavia il significato delle esperienze dell'infanzia e degli avvenimenti più recenti, non è lo stesso in tutti i casi. Possiamo illustrare questa idea con una analogia semplice. Un uomo compera un camion, e dopo un po' di tempo una delle balestre cede. Egli lo riporta alla fabbrica, dicendo che il camion ha ceduto perché la balestra era debole. La ditta risponde che il camion era in ordine ma che era stato sovraccaricato e, sotto quel peso eccessivo, aveva ceduto. Senza conoscere con precisione i fattori qualitativi, questo argomento non può essere esaurito. È ovvio che l'affermazione che la balestra era troppo debole ha un valore relativo, essa infatti era troppo debole per quel peso. I camion possono cedere per un difetto di costruzione, ma un camion perfetto può anche cedere sotto un carico eccessivo. Lo stesso ragionamento può applicarsi alla causale della neurosi. Alcuni individui diventano neurotici innanzi tutto per un difetto di costruzione, e cioè del corredo ereditario. In altri possono determinarsi, durante i primi anni vulnerabili dell'esistenza, dei punti deboli che cedono anche sotto la pressione di eventi comuni. Altri infine, possono cedere perché nella vita furono sottoposti a uno sforzo eccessivo o a condizioni nuove e penose che non erano preparati ad affrontare. Tutte le caratteristiche della personalità sono radicate nell'esperienza dell'infanzia, e dipende in gran parte da ulteriori circostanze se alcune di esse provocheranno, o no, la neurosi. Le prime esperienze traumatiche possono essere soverchiami e ridurre la capacità funzionale dell'io; la lotta contro queste esperienze può anche rafforzare le facoltà di adattamento, e l'io può emergere dalla lotta, preparato in modo migliore.

La mente umana è naturalmente propensa a cercare in ogni frangente una soluzione semplice. Essa cerca di operare su un piano bidimensionale, ed è poco incline alla complessità: ma la natura non ha alcun riguardo per la nostra pigrizia mentale. Nella natura i fatti non hanno una sola, ma molteplici cause. La psichiatria da principio attribuì la maggior parte delle malattie mentali all'infezione o all'ereditarietà. Non appena si trovava che un genitore, un fratello o uno zio erano stati pazzi, si erano suicidati, o avevano sofferto di cefalee croniche, le esigenze etiologiche erano soddisfatte. Al principio dell'era freudiana, venne scoperta l'importanza delle esperienze fatte nell'infanzia, e fu dichiarato a gran voce che era questa la causa delle neurosi. Gradualmente siamo giunti a riconoscere almeno tre tipi di fattori che, insieme e in gradi diversi, contribuiscono alle malattie nervose. Questi fattori sono l'ereditarietà, le prime esperienze della vita, e le effettive difficoltà incontrate. Un paziente fornito di un povero corredo ereditario può essere destinato a sviluppare una neurosi, qualunque cosa gli accada nella vita. In un altro caso le prime esperienze possono essere così spiacevoli, e aver creato tanti punti vulnerabili che l'individuo più tardi non è in grado di affrontare le ordinarie difficoltà dell'esistenza. Vi sono tuttavia molti neuro tici il cui corredo ereditario e le cui esperienze infantili non furono particolarmente negativi, ma che nel corso della vita si trovano esposti a situazioni che non riescono a controllare. Il rapporto che intercorre tra questi tre tipi di fattori è complicato dal fatto che gli eventi susseguenti vengono largamente determinati dalle esperienze infantili. Il nostro destino è, almeno parzialmente, determinato da noi stessi.

Tale concetto può essere definito una interpretazione relativistica della neurosi. Un paziente non è neurotico in sé, ma lo diventa quando venga coinvolto in situazioni che non è capace di fronteggiare.

La nostra complessa civiltà si trova di fronte una grande varietà di situazioni. Anche una persona che ha avuto una fanciullezza infelice, può adattarsi a un certo genere di vita e mantenervisi senza soffrir mai di neurosi. Un giovane sensibile e introspettivo che si interessa alla musica e alla letteratura potrebbe essere stato completamente spaesato in una città di frontiera nell'America del secolo scorso. Egli sarebbe stato oggetto di ridicolo e non avrebbe potuto soddisfare le sue particolari inclinazioni. La stessa persona, nella società letteraria della Parigi di fine segolo, avrebbe potuto essere altamente apprezzata e incoraggiata. Chiunque abbia letto la descrizione che fa Margaret Mead della personalità dei balinesi, sarà d'accordo nel ritenere che il balinese medio, sognatore e introvertito, nella società americana sarebbe considerato o una personalità schizoide (un caso cioè di schizofrenia ambulatoria), o una personalità prepsicopatica. D'altro lato, un commesso viaggiatore americano che cadesse nelle mani di uno psichiatra balinese, correrebbe il rischio di essere messo in prigione come un ipomaniaco potenzialmente pericoloso.

Nella nostra varia società c'è posto e necessità di una larga gamma di personalità diverse. Quel che in una determinata situazione sociale è debolezza, in un'altra può rappresentare un vantaggio. Nel definire la neurosi, non bisogna dimenticare questo principio di relatività. La neurosi è dovuta all'incapacità di appagare armonicamente i propri bisogni in una data situazione. Essa registra una discrepanza tra l'individuo e l'ambiente. Se gli ambienti fossero uniformi in tutti i casi, dovrebbero essere considerate solo le esigenze della personalità. Nella nostra civiltà, tuttavia, le condizioni ambientali variano grandemente, e la neurosi può venire definita soltanto se teniamo conto e dell'individuo e di tutto ciò che lo circonda.

Tale concetto relativistico della neurosi è stato confermato dall'esperienza fatta durante l'ultima guerra. Nonostante tutti gli sforzi per scartare i neurotici palesi, molti individui psicopatici elusero lè diagnosi ed entrarono a far parte dell'esercito, dove spesso operarono con successo sorprendente. Nel ritornare alla vita civile, però, i loro problemi neurotici riapparvero. Quegli individui avevano bisogno di essere guidati con fermezza, in modo non compatibile con la nostra società libera, e la loro necessità di dipendenza veniva appagata in seno a una vasta organizzazione che pensava a loro e indicava loro quel che dovevano fare. Nella vita civile, si trovarono di nuovo affidati alle proprie risorse, e si sentirono frustrati. Il loro bisogno di dipendere da altri creava un profondo conflitto e offendeva il loro orgoglio. Per riparare a questa offesa, essi erano trascinati a compiere delle bravate inconsulte, e a disprezzare le convenzioni. Avevano bisogno di provare a se stessi e agli altri che non avevano paura e non sentivano la necessità di un'autorità né della protezione materna o paterna. E per darne una prova, dispiegavano aggressivamente una specie di pseudo virilità. Ciò li metteva spesso in urto con la legge. Ma quando costoro avevano potuto soddisfare il loro bisogno di dipendenza e di obbedienza in seno a una vasta organizzazione, come è l'esercito, dove l'obbedienza veniva anzi premiata, il loro conflitto era stato risolto, ed erano divenuti soldati eccellenti. La loro necessità di sottomissione era appagata in una forma accettabile, e anche il loro bisogno di essere forti e coraggiosi aveva trovato nell'esercito una legittima espressione. Il vecchio problema si riaffacciò soltanto quando di nuovo dovettero contare su loro stessi, riassumendo le responsabilità dell'esistenza civile.

Ciò dimostra che una neurosi può essere sempre definita come un rapporto tra la personalità e l'ambiente sociale. La maggior parte della gente non è nata neurotica, né lo diventa inevitabilmente a causa delle esperienze infantili. La neurosi si sviluppa quando l'ereditarietà e le prime esperienze vengono in conflitto con l'ambiente.

Occorre adesso considerare più attentamente un altro aspetto di questo problema. L'io è stato definito come un apparato il quale coordina desideri contrastanti e li adatta all'ambiente. E ciò si chiama «adattamento». La misura dell'efficienza funzionale dell'io è determinata dalla misura della sua adattabilità. Tale adattamento, si capisce, è più semplice se le condizioni rimangono inalterate. Per mezzo dell'esperienza e della guida dei genitori, l'io adotta modelli di comportamento convenienti, che una volta appresi, non hanno più bisogno di essere mutati. Proprio come i muscoli si deteriorano se non vengono adoperati, l'io perde la sua elasticità in un ambiente immutabile. Per esempio, i veri provinciali si sentono a disagio lontani da casa. Anche il parigino o il viennese tipici sono pesci fuor d'acqua, quando si trovano altrove.

Questi rappresentanti raffinati della loro cultura nativa, se emigrano, non tentano nemmeno di mutare il loro genere di vita, ma creano all'estero piccole Parigi e piccole Vienne. Un esempio simile ci è dato dalla tragedia della vecchia generazione in un mondo che sta cambiando rapidamente. Superbi rappresentanti della propria epoca, i quali erano individui equilibrati e felici, diventano irritabili e neurotici, quando un improvviso mutamento sociale li costringe a vivere in un'epoca nuova. Questo problema non si presentò mai in periodi relativamente statici, quale l'era feudale in Europa. A quel tempo, condizioni e costumi rimanevano i medesimi di generazione in generazione, e il posto di ciascun individuo nella società era rigidamente stabilito. Gli stessi modelli di comportamento si tramandavano di padre in figlio, per secoli.

I sociologi giustamente sottolineano il rapido mutamento sociale, quale l'aspetto più rilevante della attuale epoca industriale. Non solo due generazioni vivono sotto condizioni diverse, ma un individuo singolo durante il corso della sua vita, deve ripetutamente adattarsi a situazioni ideologiche e materiali mutevoli. Da ragazzo, egli visse in un mondo di accentuato individualismo; verso i venti anni gli vennero insegnati i benefici di una politica paternalistica; forse soltanto per poter affrontare nella maturità un rinascere dell'iniziativa individuale. Da tutto ciò risulta ovvio che la prima esigenza della civiltà industriale è una personalità altamente elastica e adattabile. Come abbiamo visto, l'istrumento dell'adattamento è l'io cosciente. L'uomo moderno non può vivere secondo solide tradizioni. I soliti modelli di comportamento non debbono più essere adottati deliberatamente, ma diventano un'abitudine. Nondimeno, uomini che vivono in un periodo di rapidi cambiamenti, debbono sviluppare in se stessi la facoltà di un rapido adattamento. Essi debbono perciò rendersi conto di quel che in realtà sono e dei propri bisogni, più di quanto fosse necessario ai loro predecessori.

Nella sua lotta per l'autoconservazione, l'umanità in ogni epoca della storia sviluppa il sapere e le capacità necessarie alla sua sopravvivenza. Uno dei problemi cruciali dell'attuale era industriale, è stato quello di creare per le popolazioni urbane condizioni salubri di vita. Una maggior conoscenza delle malattie contagiose divenne questione di vita o di morte; la batteriologia e l'igiene sorsero per affrontare il problema delle zone congestionate. La psichiatria dinamica ha un ruolo simile di fronte alle difficoltà psicologiche che sorgono da un rapido mutamento culturale. Lo scopo della psicoanalisi è quello di aumentare l'efficienza dell'io cosciente, sostituendo agli adattamenti automatici e alla repressione un controllo cosciente; e adattamenti elastici alle mutevoli condizioni della vita moderna. Ciò comporta la necessità di affrontare certi fatti non solo al di fuori, ma anche dentro di noi. La massima greca: «Conosci te stesso», una volta può essere stata un lusso; oggi è una necessità. L'uomo può adattare se stesso al proprio mutevole ambiente, solo conoscendo se stesso, i propri desideri, impulsi, moventi e bisogni. Egli deve diventare più saggio, più giudizioso e deve avere maggior fiducia in se stesso. Altrimenti si troverà sconcertato, impaurito e regredirà alla dipendenza dell'infanzia, diventando preda di avide minoranze, le quali lo indurranno a credere che la sicurezza si trovi nel fare quel che gli viene ordinato.

II. Caratteristiche generali dei sintomi psiconeurotici e psicopatici

1. Sintomi psiconeurotici

Irrazionalismo. I sintomi neurotici appaiono sia ai pazienti che agli investigatori come meno razionalmente motivati dei normali processi psicologici. In una situazione pericolosa, aver paura è ragionevole; ma l'ansietà che prende una persona nel camminare per strada o nel sedere in un ristorante affollato o in un teatro, appare irrazionale. È giustificato essere tristi per la perdita di una persona amata, mentre una depressione causata da una piccola delusione, non lo è affatto. Anche più paradossale è una reazione depressiva a un miglioramento negli affari o nella professione. La irragionevolezza di idee ossessive simili a quella di far male ad altri con strumenti acuminati (idee che possono causare ansietà alla semplice vista di un coltello o di un ago), è ovvia, perché non esistono moventi consci per simili atti di ostilità.

Sconnessione dei sintomi. La seconda caratteristica dei sintomi neurotici è la loro dissociazione dalla vita psichica. La madre ossessionata dall'idea di strangolare i suoi bambini mentre dormono, è veramente e profondamente affezionata a loro, e non vi è nulla nella parte cosciente della sua mente che ella possa connettere, sia pure alla lontana, con quel sintomo. Il sentirsi costretti a lavarsi continuamente le mani appare anch'esso inspiegabile. Nel corso della malattia può venire spiegato come paura dei bacilli e timore di insudiciare gli altri.

Natura regressiva dei sintomi. Tale natura può venire meglio riconosciuta, se ci si rende conto che il contenuto psicologico dei sintomi neurotici apparirebbe normale, ove il paziente fosse un bambino. Il terrore del buio o di rimaner solo in luoghi affollati o per le vie di una grande città, sono reazioni comuni nel bambino piccolo. La paura dei grandi spazi liberi è anche universale, quando il bambino sta imparando a camminare. Rapidi mutamenti di umore provocati da lievi rimproveri o da delusioni momentanee, appartengono anch'essi alla psicologia normale del bambino piccolo. Il desiderio di adoperare istrumenti acuminati a scopo distruttivo, fa parte del naturale spirito di rappresaglia del bambino, importunato dagli adulti. Il rito dell'igiene e dell'ordine, è anch'esso una manifestazione di obbedienza del fanciullo, intesa ad accontentare gli adulti. È il segno distintivo di un «buon bambino». Non è facile provare la natura regressiva dei sintomi di conversione. Essi sono, tuttavia, il ravvivarsi delle prime esperienze traumatiche, già represse.

Non appena vengono ricostruiti i concatenamenti inconsci nella formazione del sintomo, questi perde il suo aspetto irrazionale e sconnesso. La conoscenza dei moventi repressi lo rende intelligibile e dimostra il suo nesso con il resto della personalità.

Nel ricostruire le cause represse, l'ossessione della madre di strangolare i figli addormentati, diventa comprensibile, quale reazione al suo atteggiamento materno di autosacrificio, e alla regressione alla prima rivalità tra fratelli, sorta nel periodo in cui ella si prendeva cura dei fratellini più piccoli, suoi rivali, e riceveva dai genitori minori attenzioni di quanto sentiva di meritare. La fobia della gente è intelligibile, quale reazione all'ostilità infantile contro chiunque distraesse dal soggetto l'attenzione della madre.

2. Sintomi psicopatici

I sintomi psicopatici, come quelli neurotici, sono irrazionali e regressivi, ma non sempre sconnessi. Ciò è particolarmente vero nelle immaginazioni paranoiche. Nelle psicosi paranoiche, le tendenze perturbatrici irrompono attraverso le barriere della personalità cosciente, che spesso perde la propria coesività. Il paranoico si accorge dei suoi impulsi ostili, e li giustifica con le proprie illusioni mentali. Egli assale gli altri perché si sente perseguitato. Il sintomo non è isolato come un'aggressione ossessiva, perché il paziente se ne assume la piena responsabilità. Le illusioni mentali sono tentativi di creare situazioni immaginarie, nelle quali i sintomi appaiono razionali e accettabili. Poiché il senso critico dell'io è diminuito, la irrazionalità dei sintomi è palese a tutti, meno che al paziente. Ciò si chiama spesso «mancanza di autocomprensione»; ma la capacità del paranoico di razionalizzare tutto, sovente è notevole, ed egli riesce per lo più a convincere gli altri della ragionevolezza della propria condotta.

La natura regressiva dei sintomi psicopatici è evidente. Secondo Freud l'appagamento immaginario dei desideri è caratteristico dell'infante, che non ha ancora differenziato il suo mondo da quello esterno. Certe ubbie riguardo la propria persona, la mania di valorizzarsi e di deprezzarsi, sono regressioni ad atteggiamenti infantili verso se stessi. Il bambinetto che giuoca alla caccia grossa, appaga nella fantasia il suo desiderio di essere grande e potente come suo padre. Il dinamismo psichico della megalomania è basato su una sovracompensazione a un analogo senso di inferiorità. Manie di autodeprezzamento sono regressioni à sentimenti infantili di inferiorità, portati in un mondo adulto.

III. La struttura dinamica generale di una psiconeurosi

Abbiamo visto che la neurosi sorge ogni volta che una persona non può appagare i propri bisogni emotivi in una data situazione, senza conflitto interno. Tale conflitto può nascere nei rapporti umani, nelle occupazioni professionali, o nella vita sessuale. Di solito, ha luogo una lotta prima che l'individuo si decida a ricorrere ad appagamenti neurotici.regressivi. La neurosi consiste, secondo una delle formule di Freud, nel sostituire a un giusto comportamento, simboli regressivi. I veri oggetti di un'emozione matura vengono rimpiazzati da personaggi familiari della prima infanzia, e i desideri indirizzati verso di loro sono necessariamente infantili, paragonati con il comportamento che ci si aspetta da persone adulte. È per questo che sorge il conflitto neurotico. Le ansietà e le frustrazioni che obbligarono il fanciullo a rinunciare ai suoi vecchi affetti, adesso riaffiorano, e il loro contenuto viene represso. Sintomi e comportamento repressi sono manifestazioni delle difese dell'io contro quelle prime emozioni. L'asse della struttura neurotica è l'ansietà che tiene repressi gli impulsi regressivi. La loro continua pressione alimenterebbe nell'individuo una costante ansietà, se l'io non si difendesse. Le diverse forme di neurosi corrispondono ai diversi metodi di difesa impiegati dall'io. La neurosi, dunque, è.un tentativo di alleviare l'ansietà creata da conflitti, i quali, riattivati da desideri regressivi, ripetono i conflitti dell'infanzia. Lo svolgimento della neurosi può dividersi in due fasi: il tentativo di attenuare la pressione di una effettiva frustrazione, mediante soddisfazioni regressive che sostituiscono quelle reali; il tentativo di eliminare il conflitto e l'ansietà risultanti dalla regressione, per mezzo di misure difensive varie.

Le soddisfazioni sostitutive, a loro volta, possono essere divise in tipi differenti: 1) sintomi di conversione. Questi sono innervazioni inconsciamente motivate nei muscoli volontari e negli organi sensori, le quali hanno un inconscio significato simbolico, mediante cui sostituiscono le soddisfazioni reali. Ciò si osserva assai comunemente nelle personalità isteriche. 2) Fobie. Il parlare, il lavarsi, diventano carichi di inconsci impulsi alieni,

ed assumono un significato simbolico. 3) Appagamento di anormali desideri inconsci in fantasie isolate, che hanno perduto ogni rapporto con il resto della personalità cosciente, e appaiono quali stati ossessivi. Sintomi ossessivi, intesi a ridurre il senso di colpa suscitato da queste fantasie, mediante riti moralistici. 4) Depressioni e manie di grandezza, in cui le tendenze inaccettabili represse si volgono contro la persona stessa. 5) Proiezioni paranoiche, nelle quali gli impulsi anormali vengono proiettati in altre persone. 6) Soddisfacimento allucinatolo e maniaco nelle schizofrenie. 7) Condotta impulsiva suggerita da forze inconsce nelle neurosi di carattere (personalità psicopatiche), e fase maniaca nelle psicosi maniacodepressive.

Le difese contro l'ansietà neurotica sono anch'esse varie. Tutti i meccanismi di difesa descritti sinora sono correnti, ma non è sempre possibile distinguere chiaramente tra appagamenti neu rotici e difese, perché la soddisfazione simbolica che ha luogo nei sintomi è di per sé una difesa. Da sola, però, non basta a mitigare l'ansietà risultante dal senso inconscio di colpa, e lo scopo di tutte le difese specifiche delle neurosi è quello di alleviare il senso di colpa.

IV. Lo sviluppo di una neurosi

Lo sviluppo più comune di una neurosi in un adulto può essere schematizzato nel seguente diagramma:

Fattori precipitanti. La situazione reale che il paziente non è in grado di affrontare.

Fallimento nella soluzione dei problemi effettivi. Tentativi non riusciti di adattamento, di durata più o meno lunga.

Regressione. La sostituzione di fantasie o di comportamento regressivo a uno sforzo realistico per soddisfare i propri bisogni.

Conflitti primari ravvivati dalla regressione. Il ravvivarsi di vecchi conflitti attraverso la regressione a vecchi modelli di adattamento, abbandonati nel corso della crescita dell'individuo.

Misure autopunitive. Una inutile lotta per risolvere il conflitto neurotico mediante una combinazione di soddisfacimenti sostitutivi e di autopunizioni, espressi nei sintomi. La futilità del tentativo di risolvere così il conflitto, è dovuta al fatto che i desideri regressivi, il senso di colpa e il conseguente bisogno di autopunizione, sono tutti inconsci. Solo le loro rappresentazioni camuffate sono consce.

Conflitti secondari e impoverimento dell'io. Più a lungo dura una neurosi, con maggior compiutezza si sviluppa il circolo vizioso. I sintomi assorbono le energie del paziente e diminuiscono il suo rendimento nella vita reale. Questo si chiama conflitto secondario, e comporta una ulteriore regressione a sfoghi sintomatici, che a loro volta aumentano il conflitto e assorbono una maggiore quantità di energia.

Tale formula può essere illustrata dalla storia del giovane uomo di affari, già riferita, in cui si manifestava una depressione sempre più profonda, a mano a mano che avanzava nella sua carriera.

Il fattore precipitante. Il fattore precipitante fu evidentemente la promozione. Il suo principale, il quale aveva per lui un interessamento paterno, divenne il suo unico rivale, il solo ostacolo che ancora si frapponeva tra lui e la possibilità di diventare capo dell'azienda.

Ciò suscitò il sentimento di colpa e, come difesa, il soggetto volse gli impulsi ostili verso se stesso. Egli non poteva risolvere il problema di dover competere con il suo benefattore.

Regressione. La intensità del conflitto può essere compresa solo se si tiene conto della sua precedente esperienza con i geni turi. Il primitivo senso edipico di colpa fu ravvivato dalla situazione reale. Tale regressione viene confermata dal ravvivarsi del suo senso di dipendenza dalla madre. Nei quattro anni trascorsi dopo la morte del padre, egli era stato l'unico sostegno della madre; ma adesso di nuovo si sentiva soggetto a lei, dal punto di vista emotivo. Tornò alla situazione edipica, identificando il suo principale con il padre, ma regredì a un rapporto di dipendenza anche più antico (pregenitale) con la madre; rinunciò al desiderio colpevole di sostituire suo padre (simboleggiato dal principale), e rifiutò di accettare l'aumentata responsabilità del suo nuova lavoro, conseguenza della promozione.

Conflitto primario ravvivato dalla regressione. La regressione del reale conflitto col principale a fantasie edipiche, precipitò il primitivo senso di colpa risentito verso il padre.

Misure autopunitive. La sua autoaccusa, il servilismo e il rifiuto di accettare un aumento di stipendio furono misure autopunitive intese ad alleviare il sentimento di colpa.

Conflitto secondario. L'evasione regressiva dal conflitto reale, provocata dalla sua promozione, produsse un nuovo conflitto. Il fatto che egli era l'unico sostegno della madre lo costrinse a conservare la sua posizione e a lottare contro il desiderio neurotico di rifugiarsi in una completa dipendenza dalla madre o, come alternativa, nel suicidio. Tale conflitto secondario lo portò a recarsi da un analista in cerca di aiuto.

L'impoverimento dell'io e il circolo vizioso neurotico. La continua lotta contro i desideri regressivi che interferivano con le sue attività, consumò gran parte della sua energia e aumentò in lui il bisogno di dipendenza. Se questo circolo vizioso non fosse stato risolto avrebbe condotto a un progressivo aggravamento delle sue condizioni. C'era da aspettarsi una grave depressione, con prospettive di suicidio.

Dobbiamo ora chiederci come mai la depressione non si sviluppò in lui all'epoca della morte del padre, quando il desiderio infantile di rimpiazzarlo venne improvvisamente a realizzarsi. Perché quest'evento non precipitò il senso edipico di colpa, facendo così sorgere la necessità di misure autopunitive? La risposta è che dopo la morte del padre, tanto lui che la madre si erano trovati di fronte a una situazione grave. Lo zio a cui erano ricorsi per aiuto, lo rifiutò loro. Questo fatto liberò il giovane da ogni eventuale senso di colpa e lo salvò dalla depressione. L'immagine del « padre cattivo» fu sostituita dal destino, cosicché egli potè volgere la propria ostilità contro lo zio. Tale soluzione apparve nel sogno in cui il paziente sostituì lo zio spietato al suo generoso benefattore. Una complicazione emotiva nacque soltanto quando il suo paterno principale, il quale lo aveva colmato di bontà, divenne il bersaglio della sua ostilità. Allora i suoi sentimenti competitivi dovettero essere rivolti contro se stesso. Il desiderio di uccidere il suo benefattore era più di quanto egli — figlio unico viziato — potesse conciliare con la gratitudine e l'affetto per un padre.

V. Vantaggi secondari

Il fatto di essere inabilitati per malattia, può presentare certi vantaggi. Tra i più evidenti è il compenso finanziario per infortuni subiti. La malattia può servire anche come pretesto legittimo per evitare doveri spiacevoli e scaricarsi di responsabilità opprimenti. Essa provoca simpatie e riguardi, e assicura al malato una posizione di privilegio. Tali vantaggi ritardano la guarigione e rendono particolarmente difficile la terapia. Essi sono conseguenze secondarie della neurosi, e non appartengono alla sua struttura dinamica né alle cause che la producono. Ciò è vero, in modo particolare, per quel che riguarda il compenso finanziario dovuto agli infortunati. Nondimeno, è estremamente difficile tracciare una linea precisa tra i desideri originari di dipendenza del paziente, e lo sfruttamento successivo della malattia per soddisfare appunto bisogni passivi di dipendenza. Molti autori — Fenichel, ad esempio — cercano di isolare artificialmente il vantaggio secondario. In molti casi, quelli che Fenichel designa come «vantaggi del superio» appartengono alla struttura fondamentale della neurosi.

L'uso della sofferenza per ottenere soddisfacimenti estranei all'io, è uno dei meccanismi fondamentali in ogni neurosi. Tutte le neurosi implicano sofferenza perché i criteri sociali incorporati nel superio esigono un castigo per le trasgressioni al codice riconosciuto. Il sollievo dal senso di colpa neurotico, ottenuto attraverso la sofferenza, non può essere considerato secondario, giacché esso e proprio la essenza della neurosi. Sebbene Fenichel abbia ragione nell'affermare che «nessuno diventa neurotico solo per il bisogno di soffrire», il dolore è una parte costitutiva della neurosi e rende possibile all'io appagamenti non consentiti.

Il concetto di vantaggio secondario deve essere applicato con grande cautela. Ogni persona adulta che preferisca esser mantenuta da altri invece di provvedere a se stessa con i propri mezzi, è indebitamente un individuo dipendente. Tale caratteristica infantile è sempre un fattore significativo, e spesso il più significativo, della neurosi. È importante osservare che i vantaggi emotivi e finanziari derivanti dalla malattia contribuiscono al suo prolungamento. È buona tattica terapeutica ridurre per quanto possibile tali vantaggi.

VI. Un breve esame dei fenomeni psicopatologi

1. Neurosi da ansietà

Il sintomo principale è l'ansietà che non ha cause consce, ma è vaga e fluttuante, tanto che i pazienti trovano difficile descriverla con precisione. Di volta in volta, essi la descrivono come paura della morte, di qualche imprecisata catastrofe imminente, di venir meno o di comportarsi in modo irrazionale, incontrollato e pazzesco: ma tutte queste descrizioni sono vaghe e mutevoli. In alcuni casi i pazienti avvertono ansietà soltanto in presenza di certe persone; in altri, solo quando sono soli. L'ansietà è una reazione a impulsi repressi che minacciano di affiorare alla coscienza. Essi sono di solito impulsi nati da frustrazioni nei rapporti personali. Spesso vi sono implicati desideri sessuali; ma raramente essi sono causa diretta dell'ansietà, sebbene possano suscitare avversione competitiva e conseguente ansietà. La neurosi si sviluppa quando si fallisce in importanti circostanze sociali e sessuali e, come reazione al fallimento, si regredisce alle prime tendenze, ostili e distruttive. Vengono abbandonate le vie atte a raggiungere i fini propostici e la frustrazione suscita una rabbia disordinata, subito repressa. Soltanto la conseguente ansietà — e cioè i timori della coscienza — affiorano. Il contenuto inconscio di tale ansietà è, negli uomini, la paura della castrazione; nelle donne, l'equivalente è rappresentato da certe tipiche fantasie masochiste.

Uno stato ansioso è sovente lo stadio iniziale di una neurosi. Esso è raramente cronico nella sua forma più semplice, durante la quale si hanno attacchi periodici di ansietà fluttuante. L'io gradatamente sviluppa delle difese, mediante le quali l'ansietà può essere dominata. Il corso ulteriore della malattia assume forme diverse, secondo il tipo di difesa impiegato. Se le causali ostili sono volte contro l'individuo stesso, sorge la depressione. Se esse affiorano alla coscienza come idee slegate, può manifestarsi una neurosi ossessiva. Se gli impulsi ostili sono sovracompensati da atti banali come il continuo lavarsi o la meticolosità, ne risultano delle coazioni. Se essi vengono proiettati negli altri, si sviluppano sintomi di mania di persecuzione. Talvolta, in un comportamento generale impulsivo, si trovano degli impulsi ostili^ e in questo modo nascono le alterazioni neurotiche del carattere. Quegli impulsi possono periodicamente prendere il sopravvento sull'io, come avviene nella fase maniaca delle psicosi maniacodepressive. I sintomi di conversione possono anch'essi dar sfogo a impulsi ostili. Nella maggior parte dei sintomi neurotici, il senso di colpa risultante dalla manifestazione di impulsi distruttivi, richiede un'autopu nizione.

L'ansietà fluttuante può preludere a quasi ogni forma di neurosi o di psicosi. Essa è raramente una condizione stazionaria, sebbene in molti casi l'ansietà ricorrente possa persistere per un lungo periodo, quale unico sintomo palese. Ciascuna neurosi ha una struttura psicologica complicata che mira a eliminare l'ansietà. La neurosi da ansietà è uno stato nel quale l'io non è ancora riuscito a difendersi dall'ansietà stessa. Una conseguenza molto comune di uno stato iniziale di ansietà, è lo sviluppo graduale di paure specifiche che appaiono soltanto in situazioni specifiche. Queste sono le fobie.

2. Fobie

I tipi più comuni di ansietà a cui vanno soggetti i pazienti affetti da fobie, sono la paura della folla, la paura del buio, la paura degli spazi aperti (agorofobia), la paura dei luoghi alti (acrofobia), di scrivere, di andare in automobile, di camminare — di solito in città, per strade affollate — e dei luoghi chiusi (claustrofobia). Tali stati in genere sono legati alle paure dell'infanzia. I pazienti affetti da fobie regrediscono a uno stato primitivo, carico di ansietà, in sostituzione di quello effettivo. Ciò appare ovvio nella paura del buio e della gente. La paura di andare in giro per la città corrisponde alla prima esperienza del fanciullo, portato nel frastuono e nel trambusto di una città grande. Questo fenomeno è evidente in pazienti che per la strada non avvertono ansietà alcuna, sino a che possono vedere la loro casa. È veramente la paura di perdersi. La fobia dell'altezza corrisponde alla paura infantile di cadere, mentre s'imparava a camminare; e la agorofobia ha probabilmente un'origine simile. Essa riflette lo stadio nel quale il bambino impara a camminare e va da un mobile a quello vicino, e lo spazio tra i due mobili gli sembra enorme.

Mentre queste situazioni normali dell'infanzia sono le prime radici dell'ansietà, i reali fattori etiologici vanno ricercati nelle tendenze avverse all'io. Queste sono più personali, e sono nascoste da formule infantili più comuni, le quali rappresentano semplici sostituti regressivi. Le attività evitate hanno un inconscio significato simbolico, che sovente è di carattere sessuale. Camminare per la strada può significare nelle donne una inconscia fantasia di prostituzione. Insudiciare un foglio di carta bianca con lo scriverci sopra, può rappresentare una reazione a prime fantasie sadicoanali. Le altezze spesso evocano inconsce ambizioni, narcisistiche e competitive, di trovarsi in una posizione più alta della propria. Il fondersi delle paure infantili con successive paure similari, è cosa complicata. Il camminare, una volta era un'azione audace, un'avventura intrapresa in gara con gli adulti. Una simile combinazione di sensazioni riappare nell'adolescenza. Quando una fanciulla comincia ad «andare in giro con dei ragazzi», spesso in questa formula emotiva è intessuta una ribelle emancipazione dall'autorità materna. Passeggiare per la strada può essere connesso con fantasie avventurose di conoscenze casuali; e ciò conduce a fantasie circa il «battere il marciapiedi», e cioè, la prostituzione. In una fobia della strada tutte queste ansietà inconsciamente riunite formano una gestalt, una unità che viene attivata regressivamente quando non si riesce a fronteggiare le esigenze della vita. Non è insolito che si sviluppi la fobia della strada in una ragazza, dopo il secondo o terzo fallimento romantico, al momento in cui si sente sconfìtta nella competizione con altre ragazze. La regressione a primitive situazioni competitive famigliari, si manifesta nelle inconsce fantasie di ribellione contro la madre. Questo fatto precipita l'ansietà e un'ulteriore regressione a uno stadio di incapacità, cosicché ella non riesce nemmeno a camminare per la strada, o ad uscire di casa da sola. Nello stadio finale di una fobia grave, ogni azione autoaffermativa viene evitata con ansietà, e la paziente può rimaner confinata in casa come un bambino dipendente, incapace di muoversi.

Una donna, sposata a un uomo d'affari, ma sempre frustrata nei suoi desideri sessuali e interamente devota ai figli, fu colpita dalla fobia della strada, all'approssimarsi del suo climaterio. Prima che fosse troppo tardi, ella voleva avere un'avventura, che nel suo inconscio prese la forma di amore illecito e di prostituzione. La sua fobia era limitata al passeggiare per quelle strade nelle quali si accentrava la vita notturna della città. Contemporaneamente, si sviluppava in lei l'idea ossessionante di strangolare i suoi bambini nel sonno. Tale ossessione scaturiva dalla stessa sorgente emotiva, e indicava la sua ribellione contro la vita coniugale, che era d'impedimento alla sua libertà.

Nella formazione della fobia possono distinguersi tre fasi: fallimento nella vita e perdita d'iniziativa; regressione nella fantasia a situazioni infantili competitive (rivalità edipica o fraterna) con corrispondente ansietà e senso di colpa; la sostituzione della dipendenza all'autoaffermazione. La fobia è un tentativo di localizzare l'ansietà entro una situazione singola, mentre si salva l'io dal riconoscere il vero problema non risolto e dall'affrontarlo. L'ansietà localizzata dà spesso luogo a un graduale espandersi del

l'ansietà stessa; si sviluppano così molte fobie, e nei casi gravi può esservi una regressione a uno stato di completa inettitudine. Tali pazienti possono trascorrere anni interi rinchiusi nelle loro stanze, da soli; è facile sbagliarsi e ritenerli affetti da schizofrenia.

3. Stati ossessivi o coatti

I sintomi pienamente sviluppati si mostrano sotto forma di idee ossessive e insieme di riti obbligati. Le idee ossessive sono asociali, come, ad esempio, picchiare la gente, avere rapporti sessuali incestuosi, uccidere parenti stretti o bambini, e mettersi in bocca oggetti disgustosi. Queste idee sono slegate, e sembra non abbiano alcuna relazione con il resto della personalità. Di solito non sono camuffate, ed esprimono apertamente impulsi infantili, altrimenti repressi.

Un uomo di quarantadue anni aveva l'ossessione di voler colpire la gente sulla testa con un'accetta. Da principio, quest'idea lo infastidì solo di tanto in tanto, ed egli cercava di evitare i negozi di ferramenta. In seguito, ogni oggetto che somigliasse anche lontanamente a un'accetta acuiva in lui la medesima ossessione, con relativa ansietà. Ogni oggetto rettangolare, per esempio una soglia, rinnovava la sua paura, e arrivò ad aver paura di leggere, perché la L maiuscola gli ricordava l'accetta. Tutta la sua vita professionale era influenzata da questo vincolo, ed egli seguitava a lavorare solo col più grande sforzo. Soffriva costantemente, e durante venticinque anni ebbe ben pochi momenti di tranquillità. La sua intera esistenza era occupata da quell'ossessione e dai diversi modi di sfuggirvi. L'analisi rivelò una situazione emotiva comune. Egli aveva un fratello maggiore e una sorella più giovane, e nella sua prima giovinezza li aveva invidiati ambedue. La sorella minore godeva di tutti i privilegi riconosciuti ai membri più giovani della famiglia. Quando era nata, aveva distolto da lui l'attenzione e le cure dei genitori. Il fratello maggiore, d'altra parte, usufruiva di tutti i vantaggi della sua qualità di primogenito. Così il paziente non aveva per sé nessun privilegio. Ne risultò un atteggiamento ostile e competitivo verso il fratello, che fece sorgere il sentimento di colpa.   

Un ricordo dimenticato affiorò durante l'analisi, e ci diede la chiave per comprendere questa ossessione. All'età di sei anni, un giorno il paziente stava cavando patate insieme al figlio di un agricoltore, loro vicino di casa. Ciascun ragazzo aveva una zappa, e il paziente per caso colpì il suo amico sul capo, cosicché il ragazzo cadde a terra, sanguinante. Temendo di averlo ucciso, l'altro provòun profondissimo senso di colpa.

L'analisi dimostrò che l'intensità di questo senso di colpa aveva origine nei suoi sentimenti verso il fratello maggiore; sentimenti che egli trasferiva al figlio dell'agricoltore. Aver colpito l'amico sulla testa con la zappa era un segno di inconscia ostilità verso il fratello maggiore; sentimenti che egli trasferiva al figlio dell'agricoltore. Egli aveva dimenticato completamente l'incidente, che però portò il suo contributo ai sintomi ossessivi. Questi rappresentavano il delitto e, nel medesimo tempo, la punizione che egli si era inflitta da sé. Nella sua immaginazione, colpiva la gente sulla testa con un'accetta come aveva fatto nella realtà con il compagno, ma la sua ossessione era anche la fonte di una dolorosa sofferenza neurotica.

Nella maggior parte dei casi è impossibile riportare l'origine delle idee ossessive a un avvenimento represso isolato. Esse di solito rappresentano impulsi asociali, comuni nella prima giovinezza. La forma di tali impulsi viene probabilmente sempre determinata da esperienze specifiche, le quali d'ordinario non sono drammatiche quanto quelle descritte nel caso sopra citato.

I riti obbligati, in contrasto alle ossessioni, sovente sono esagerazioni o caricature di una condotta sociale. I più comuni sono il lavarsi ripetutamente le mani, oppure fare del bagno e della doccia lunghe cerimonie, e una meticolosità esagerata. Le scarpe debbono essere poggiate in modo esattamente parallelo e simmetrico ai piedi del letto. Porte e cassetti vengono chiusi accuratamente; gli oggetti nella stanza da bagno ed in tasca sono contati col massimo scrupolo; si ripetono, per esempio, tutte le stazioni tra Chicago e New York, e i nomi dei presidenti vengono citati per ordine. Talvolta si dimostra una più spiccata individualità. Un paziente baciava cinquanta volte il ritratto del padre morto, toccando il vetro con le due labbra unite, prima di andare a letto. La ripetizione simmetrica, come per esempio, fare con la sinistra ciò che si è fatto con la destra, è cosa comune (disfare). Il toccare ha un ruolo particolarmente importante. L'esigenza di isolare le cose le une dalle altre, spesso è un fattore saliente. Due differenti attività debbono venire separate. Un paziente può non volersi toccare il viso dopo aver toccato le sue bretelle, o può non voler commettere l'atto sessuale il giovedì, perché suo figlio è morto di giovedì. Come regola, un atto rappresenta qualche cosa di buono o di pulito; l'altro qualche cosa di cattivo o di sudicio. Il viso è pulito, mentre le bretelle, connesse ai pantaloni e quindi al pene, sono sudicie... La morte del figlio è sacra, ma la sessualità è malvagia. Perciò sono cose che debbono venire separate.

Egualmente tipici sono certi tratti del carattere. Questi pazienti di solito sono inibiti in tutte le loro attività: sono prudenti, puntigliosi, e rigorosi nell'osservare le piccole regole di cortesia e le convenzioni sociali. Soffrono di dubbi paralizzanti che pervadono completamente la loro personalità e la loro condotta. Osservano ogni cosa da tutti i lati, e alla fine non possono decidersi a far nulla. Nei loro rapporti personali dipendono in larga misura dagli altri — genitori, mogli o mariti e dai loro superiori — sebbene alla superficie possano apparire persone indipendenti.

Tali sintomi e caratteri costituiscono una struttura dinamica la quale è in equilibrio precario tra tendenze represse e forze reprimenti dell'io.

I sintomi ossessivi rappresentano una breccia nelle difese repressive, attraverso la quale irrompono i desideri avversi. Con l'isolarli dal resto della sua personalità, il paziente non li sente più come propri, e non ne assume la responsabilità. Così, l'affermazione delle tendenze più apertamente asociali nelle fantasie coscienti, si rende possibile attraverso un meccanismo, corruttore del superio. Il paziente si presenta come un ipermoralista, eccezionalmente pulito, puntiglioso o veritiero, industrioso, meticoloso e convenzionale. Egli esagera tutte queste qualità e può perciò per mettersi di indulgere in fantasie proibite. Questi due lati nella sua personalità — il «buono» e il «cattivo», il sociale e l'antisociale, il pulito e il sudicio, l'ostile e il prudente — sono in costante lotta tra di loro e tutta la neurosi consiste nel preservarne l'equilibrio. Soltanto dopo che le esigenze sociali del super-io sono state soddisfatte, si può permettersi il lusso di una certa indulgenza, scevra di ansietà. L'intera sintomatologia ritualistica è una complessa struttura di difese, che serve ad alleviare l'ansietà causata dagli impulsi asociali. La coazione è un orientamento dualistico derivato.

Anche il dubbio paralizzante, che può rendere il paziente completamente incapace e impedirgli di far bene qualsiasi cosa, è il risultato di questo scisma emotivo. Poiché è sempre il servitore di due padroni, egli sente che qualunque cosa desideri fare, è spinto da un doppio movente. Non può affidarsi con convinzione all'una o all'altra delle due parti, perché i suoi impulsi sono discordi, e la sua maggiore cura è quella di mantenere un certo equilibrio tra essi. Per un'attività costruttiva, non resta alcuna energia, giacché le forze psichiche — sociali e antisociali — sono impegnate nel compito futile e senza fine di equilibrarsi a vicenda. Un aspetto fondamentale degli stati ossessivocoatti è che la fantasia, e i processi mentali in generale, assumono regressivamente lo stesso significato esagerato che hanno nella prima infanzia; per esempio, immaginare di fare qualche cosa equivale a farla. La fantasia è capace di appagare un bisogno, ma suscita anche un senso di colpa e di ansietà se l'atto immaginato è un atto proibito. Tale fenomeno è stato chiamato la «magia delle idee» o la «onnipotenza del pensiero», ed è caratteristico del bambino, il quale — in ragione delle sue possibilità limitate — spesso deve accontentarsi di appagare i propri desideri nella fantasia.

Io ho descritto in una precedente pubblicazione 1 un esempio limite di come il pensiero possa sostituire interamente l'azione. Durante la seduta analitica, il paziente mi chiese che ora fosse. Risposi che erano le nove e mezzo. Dopo parecchi secondi, il paziente ripetè la stessa domanda e mi pregò di ripetere la mia risposta. Quando più tardi gli chiesi perché mi avesse fatto due volte la medesima domanda, spiegò la cosa riferendomi un suo dubbio; e cioè che io avessi detto le dieci e mezzo. E se adesso erano veramente le dieci e mezzo, allora era trascorsa un'ora intera senza che egli potesse rendersi conto di quel che aveva fatto in quel lasso di tempo. Temeva di essere stato forse, senza saperlo, con una prostituta e di essersi infettato di sifilide. La sua ansietà era del tutto sincera; mi chiese due o tre volte se avevo detto veramente le nove e mezzo. Quando risposi «sì», dopo pochi secondi chiese ancora «Avete detto sì, o no?».

L'idea di andare con una prostituta provocava in lui la stessa ansietà dell'azione medesima. Questo esempio mostra quale posto occupa il dubbio negli stati coatti. Il medesimo paziente sovente, durante la seduta analitica, provava un impulso che lo costringeva a volgersi intorno per vedere se io stavo ancora seduto lì; giacché immaginava che io fossi morto, e lo immaginava in maniera così realistica, da aver bisogno di convincersi della irrealtà della sua fantasia.

La maggior parte degli scrittori psicoanalitici hanno pensato che le tendenze represse, in giuoco nelle ossessioni e nelle coazioni, debbono considerarsi sadicoanali. L'accentuazione della pulizia e della puntualità, accompagnata da idee ostili e coprofiliche, è la base di questa tesi e non vi è dubbio, nella maggior parte dei casi, circa il carattere sadicoanale delle fantasie stesse. Ciononostante sembra che le ossessioni e le coazioni siano talvolta anche orali e falliche. La caratteristica della malattia è il genere di difese impiegato dall'io contro gli impulsi pregenitali, tra i quali senza dubbio prevalgono quelli sadicoanali.

4. Depressioni

I sintomi più importanti della depressione sono la melanconia e lo scoraggiamento, l'amarezza e, nei casi più gravi, la tendenza all'autocritica e talvolta al suicidio; e un ritardo nei processi psichici, accompagnato da una generale mancanza di iniziativa. Gli impulsi ostili vengono inibiti e introversi. Predomina un senso di colpa, suscitato da impulsi ostili che divengono autodistruttivi. Una caratteristica dei pazienti depressi è la loro dipendenza nel rapporto amoroso. Ogni volta che interviene una frustrazione, essi reagiscono con un'ostilità rivolta contro se stessi; il che dà modo di sfogarsi all'ostilità e, insieme, solleva dal senso di colpa. Un ulteriore aspetto della depressione è l'appello alla simpatia e all'amore, che il paziente fa criticando se stesso e punendosi (Rado).

Una causa comune di precipitazione è la perdita — per morte o  per altre ragioni — di una persona che il paziente ha amato. Freud ha mostrato che la psicologia della melanconia è una forma esagerata e morbosa di lutto; sia nel lutto che nella melanconia il fattore principale è la volontà di non rinunciare alla persona amata, in cui tanto amore è stato investito. La rinuncia agli interessi mondani, in ambedue i casi, 1 delitti passionali sono basati su questo meccanismo. La morte però, è un ostacolo insuperabile all'odio, e l'oggetto unico che rimane è l'amante stesso. Su questo si fonda il suicidio dopo il delitto passionale; la situazione risulta analoga nella mente del melanconico. Una fonte di ostilità contro il mondo in genere, è una comune fase iniziale delle depressioni gravi: ciò avviene prima che l'ostilità, mobilitata dalla perdita subita, si volga contro il paziente stesso. La introversione degli impulsi ostili è facilitata dalla introiezione o dalla identificazione con l'obietto. Il ricreare in seno alla propria personalità l'oggetto dell'amore attraverso l'identificazione, come difesa contro la perdita subita, è un aspetto rilevante delle depressioni gravi. Tutti questi aspetti, in forma meno accentuata, sono presenti anche nel lutto.

L'ambivalenza verso la persona perduta è meno pronunciata, per cui le manifestazioni autodistruttive non sono così clamorose. Nondimeno, anche la persona in lutto indulge in ogni sorta di autolimitazioni, si compiace nel riconoscersi colpevole per non esser stata abbastanza buona verso il morto, e non si concede nessun passatempo. Anche certi riti funebri — quali il coprirsi il capo di cenere o il digiunare — sono chiare espressioni del senso di colpa che ha la sua origine in sentimenti ambivalenti. Tutto ciò mostra che per il nucleo narcisistico della personalità tutti gli obbietti di amore costituiscono una minaccia, e che in tutti i rapporti umani vi è una traccia di ambivalenza.

La relazione tra i pazienti depressi e gli oggetti del loro amore, tuttavia, è marcatamente ambivalente, orale e dipendente. La inversione dell'ostilità è aiutata da fantasie inconsce di assorbimento orale dell'oggetto amato in forma ambivalente. Le tendenze autodistruttive sono assalti contro l'oggetto introietto. Tuttavia, è discutibile se tali fantasie siano il fattore più importante, qualunque ne sia la frequenza. Volgere all'interno l'ostilità contrastata, è probabilmente più elementare. Quando un bambino piccolo, incollerito, assale una persona più forte e viene ripetutamente respinto, egli si rende conto che i suoi attacchi sono vani e comincia a pestare i piedi e si dà pugni in testa e sul petto.

Una depressione può sorgere quale reazione a un'improvvisa mobilitazione di impulsi ostili, in persone abitualmente inibite a questo riguardo. Il senso di colpa, inoltre, contribuisce all'introversione dell'ostilità. Poiché l'incorporamento orale è la più primitiva delle manifestazioni di ostilità, non può sorprendere che le depressioni siano sovente accompagnate da fantasie orali. I banchetti delle veglie funebri nascono da questo bisogno emotivo. Tuttavia, le fantasie anali sono anch'esse comunissime, e si ritrovano alla base di certi riti funebri; per esempio, mettersi la cenere sul capo e gettare sulla tomba terra e pietre. La caratteristica primaria del depresso non è la qualità dei suoi impulsi ostili, ma il loro subitaneo scatenarsi contro le persone amate; il che crea un insostenibile senso di colpa. La combinazione di odio, amore e colpa è l'essenza dei rapporti ambivalenti. L'ambivalenza è, dunque, uno dei fattori dinamici basilari, sia nelle depressioni che nelle neurosi coatte. In queste ultime il paziente mitiga il suo senso di colpa mediante riti espiatori, mentre il melanconico in troverte la propria ostilità. Un paziente depresso è capace di attaccamenti più forti che non il neurotico coatto. Quest'ultimo dà spesso l'impressione di una persona fredda e intellettualistica, mentre i depressi sono caldi ed emotivi.

Dobbiamo ricordare che tutti i rapporti umani contengono un certo grado di ambivalenza, poiché per il nucleo narcisistico dell'io, ogni obbietto amato è un nemico. Sognare la morte dei parenti più cari è cosa comune tra gente sana, appunto perché i desideri di morte fortemente repressi, volti contro persone care, appartengono alla psicologia dell'amore normale. L'amore che si dà agli altri diminuisce quello che si dà a se stessi. Le circostanze che suscitano questo narcisismo elementare, possono far nascere desideri di morte rivolti verso persone care. La predisposizione alla depressione, perciò, è universale quanto il dolore che si prova per la morte di un essere amato. Solo differenze quantitative possono giustificare il fatto che un individuo supera il suo conflitto di ambivalenza durante il processo di un normale cordoglio di settimane o mesi, mentre in un'altra persona può svilupparsi una depressione cronica.

5. Reazione maniaco-depressiva

Gli stati depressivi sopra descritti sono reazioni a esperienze comuni; sovente a perdite o frustrazioni, e, sebbene esagerate e prolungate, sono analoghe al lutto. Un gruppo di pazienti sviluppa alternativamente stati depressivi e stati euforici di intensità e durata variabili. Le più antiche descrizioni cliniche danno l'impressione che una condizione endogena prevalga nel fatto che ambedue le fasi — la depressiva e l'euforica — si determinano senza provocazione esterna. Quando si trovano i fattori precipitanti, di solito appaiono insignificanti. Si pensa perciò che essi mettano in moto un processo organico, costituzionalmente determinato. L'aggettivo «reattivo» è stato applicato dalla psichiatria descrittiva alle depressioni, per sottolineare la differenza tra depressioni psicogeniche e stati maniaco-depressivi, i quali vengono considerati endogeni.

Il trapasso da gente abbastanza sana con stati d'animo a ritmo ciclotimico, agli psicopatici affetti da depressione maniaca, è grande. Questo trapasso graduale rende improbabile la supposizione che la causa ultima sia un disturbo primario metabolico o endocrino. Inoltre la psicoanalisi è stata di aiuto in molti casi gravi. Ciò non sarebbe decisivo se non per il fatto che pazienti simili, se non vengono curati, continuano di regola, e all'infinito, nei loro estremi oscillamenti di umore.

Il successo della psicoanalisi (la quale studia le configurazioni emotive nascoste) dimostra che, almeno in un certo numero di casi, operano i fattori psicologici.

Gli studi psicoanalitici di Freud e Abraham permisero la prima comprensione psicologica di tali oscillamenti di umore, apparentemente ingiustificati.

La fase depressiva di questi pazienti somiglia a una depressione reattiva. I processi psicologici sono lenti, l'umore depresso, l'interesse per il mondo circostante ridotto; e la tendenza all'autocritica, alla autosvalutazione e all'autodistruzione sono più pronunciate che non in una depressione semplice. Un paziente, nella sua camera di ospedale, può un giorno darsi completamente a cupe meditazioni, accorgendosi appena del medico e rispondendo alle sue domande a lunghi intervalli e a monosillabi, con borbottii appena udibili; e il giorno dopo può benissimo accogliere il dottore con un fiume esuberante di parole, notare tutti i particolari dell'abbigliamento di lui e fare su di essi delle osservazioni. La sequenza delle idee appare spesso senza nesso; la precedente indifferenza dà luogo a una vera «fuga di idee». Euforico e pieno di fiducia in se stesso, il paziente fa mille progetti e non vede possibili ostacoli. A mano a mano che l'euforia acquista forza, e la fase ipomaniaca diventa pienamente maniaca, le inibizioni scompaiono, e il paziente diventa aggressivo, irritabile, e sessualmente sfrenato. Dal punto di vista psicologico, la fase maniaca è esattamente l'opposto di quella depressiva, ma ambedue sono in rapporto tra di loro come un arco convesso e uno concavo.

Fase maniaca
Fase depressiva
Accelerazione (« fuga di idee») Ritardamento.
Mancanza di inibizione Inibizione
Interesse estroverso verso l'ambiente Interesse introverso verso se stesso
Iniziativa estrema e incoordinata Mancanza di iniziativa
Fiducia illimitata Mancanza di autofiducia
Accuse aggressive Autoaccusa

Comportamento aggressivo privo di

inibizioni

Autodistruzione
Euforia Melanconia
Licenza sessuale Assenza di interesse sessuale

 

La base psicodinamica di questa mutevolezza di atteggiamenti, è un cambiamento della maniera in cui l'io tratta gli impulsi rimossi, specie quelli ostili e aggressivi. Nella fase depressiva gli impulsi ostili sono introversi dal senso di colpa. Il paziente sente di essere un peccatore meritevole di castigo. Nella fase maniaca i medesimi impulsi vengono rivolti al di fuori. Il freno della coscienza, responsabile della introversione, è stato tolto. Il mezzo per comprendere psicologicamente la reazione maniacodepressiva si trova nelle ragioni che rimuovono il freno inibitorio della coscienza. Freud trovò la soluzione a tale problema nella psicologia del senso di colpa.

La fase depressiva può considerarsi una reazione al periodo maniaco. In quest'ultimo il paziente esprime liberamente quegli impulsi avversi che altrimenti vengono repressi. Egli è sconsiderato, vanaglorioso e aggressivo; e sessualmente sfrenato. La coscienza viene temporaneamente messa da parte, ma presto essa si riafferma. Per un certo periodo di tempo, il paziente sembra essersi liberato dalle inibizioni del superio e, come un bambino sottoposto a una eccessiva disciplina, in assenza di genitori e di maestri si dà a un'orgia di azioni incontrollate. Nella fase depressiva, la coscienza impone il castigo che sembra appropriato ai delitti commessi nella fantasia durante il periodo maniaco. Questo è il momento dell'espiazione. Anche la punizione però ha i suoi limiti. Il paziente depresso fa del castigo un'orgia di automortificazione. Una volta ristabilito l'equilibrio egli ha pagato — o piuttosto ul trapagato — per la sua colpa. Adesso può sfidare il superio e fare dell'immeritato castigo una scusa per la propria licenziosità. È questo un altro esempio di corruzione del superio, cosa che abbiamo già visto negli stati coatti e ossessivi. In questi ultimi, le ossessioni esprimono apertamente i desideri repressi del paziente, e i riti obbligati servono da espiazione. Nello stato maniacode pressivo, le trasgressioni e il castigo si separano in una fase di licenziosità maniaca, e in una fase depressiva autopunitiva.

Possiamo chiamare la neurosi ossessivo-coatta, «monofase», e lo stato maniaco-depressivo, un processo « bifase». Noi, qui, abbiamo a che fare con una malattia della coscienza. La sua gravità provoca una ribellione maniaca che riattiva il superio. Le due fasi sono insieme le cause e gli effetti l'una dell'altra, e si stabilisce così un circolo vizioso. Quando il superio diventa tirannico per una esperienza precedente, ogni fatto che aumenti la gravità delle depressioni provoca una rivoluzione, sotto forma di un attacco ipomaniaco o maniaco, il quale richiede a sua volta un periodo di espiazione. È perciò altrettanto corretto chiamare la fase maniaca una reazione alla fase depressiva, quanto considerare la fase depressiva una reazione alla fase maniaca.

Se si conoscono questi rapporti psicodinamici, non è diffìcile scoprire, nell'anamnesi, le circostanze precipitanti. Gli attacchi maniaco-depressivi non nascono dal nulla. La prima fase (la quale può essere la depressione o l'euforia) viene sempre precipitata da un fatto che turba l'equilibrio esistente tra le forze represse e reprimenti della personalità.

Una ragazza di diciannove anni entrò all'università, e cominciò ad accusare una forma di depressione e di autocritica; perse ogni iniziativa e si trovò in condizioni tali da non poter continuare a studiare. Ella era la maggiore di quattro sorelle e due fratelli; era profondamente affezionata al padre — un professionista di gran levatura — e nutriva per la madre e le sorelle minori sentimenti ambivalenti. Di qui nasceva il suo senso di colpa. Ella era la favorita del padre, le altre sorelle della madre, sebbene tutto ciò risultasse solo in maniera vaga. Una cugina — alla quale la ragazza si paragonava a proprio svantaggio — si era sposata da poco. Questo fatto, più l'atmosfera competitiva dell'università, mise in moto la repressa rivalità familiare, e il soggetto reagì con una forma di depressione prolungata. Lasciò la scuola e tornò a casa, ma il suo modo di comportarsi divenne intollerabile per la madre. Restava sempre chiusa in camera sua, trascurava la propria persona, e scoppiava in lacrime alla minima provocazione. Nei primi mesi della cura (che cominciò durante questa fase depressiva) prese ad agire in maniera sfacciata. Una mattina, in autobus, si mise a parlare animatamente con un giovane sconosciuto. Pochi giorni dopo andò a fare una gita, e si accompagnò a uno sconosciuto, incontrato nel vestibolo di un albergo.

L'emulazione a scuola, il matrimonio della cugina, i successi scolastici delle sue sorelle, si erano riuniti per mobilitare la sua ostilità repressa contro la madre e le sorelle stesse. La depressione era una misura repressiva, simile all'azione della polizia contro la rivoluzione in uno stato autocratico. La fase maniaca, a sua volta, era una controrivoluzione alle esagerate misure punitive, che diede sfogo a quel che dapprima ella aveva represso. Il suo comportamento anticonvenzionale fu una sfida sprezzante a sua madre e alla propria coscienza, la quale rappresentava la disciplina materna.

I fatti che avevano scosso il suo equilibrio interno, di per sé erano innocui. Un superficiale studio anamnestico avrebbe potuto facilmente trascurarli, e l'attacco allora avrebbe potuto essere attribuito a qualche ignota causa organica, possibilmente endocrina. Così come stavano le cose, il senso di colpa risentito dalla paziente era stato la causa precipitante. Esso si era sviluppato nella rivalità tra i membri femminili della famiglia, ed era stato stimolato dalla preferenza paterna e dalla freddezza materna. Tutto ciò preparò il primo attacco depressivo. L'equilibrio tra rivalità femminile e senso di colpa represso era così precario che qualunque cosa poteva farlo crollare, provocando un attacco. Non è insolito che i normali sviluppi endocrini e l'aumentare degli impulsi sessuali turbino questo equilibrio. La causa però non va ricercata in un particolare disturbo endocrino, ma nella reazione dell'io agli impulsi sessuali della maturità. Nel caso citato, questo era uno dei fattori etiologici.

La formula psicodinamica del nostro caso è: aumentata rivalità sessuale, aumentato senso di colpa, depressione autopunitiva, controreazione maniaca, nella quale era sfociata la repressa urgenza sessuale. Per ora non può dirsi con certezza perché l'io in alcuni casi scelga il tipo di difesa unifase, ossessivocoatto, e in altri, quello bifase, maniacodepressivo. La struttura della personalità totale è, più probabilmente, il fattore decisivo. I tratti preminenti di carattere della personalità preneurotica, nei pazienti che presentano sintomi ossessivocoatti sono del tutto diversi da quelli offerti dai pazienti maniacodepressi. La rigida repressione richiesta dal superio, è comune ad ambedue; e così anche il fatto che le esigenze della coscienza non vengono interamente assimilate dall'io, e restano dissociate. La distinzione tra il superio e l'io, fu tratta principalmente dallo studio dei pazienti affetti da neurosi ossessivocoatte e maniacodepressive. In una persona normale, non può farsi una distinzione precisa tra l'io e il superio, perché gli atteggiamenti sociali sono armonizzati e non possono essere considerati un settore separato della personalità. La differenza tra le personalità preneurotiche dei pazienti tipici affetti da neurosi coatta, e i tipici maniacodepressi, è illustrata dalle loro attitudini personali. I primi di solito sono persone altamente intellettuali, che hanno imparato a distaccare le proprie emozioni dalla ragione. Essi sono portati verso pensieri astratti; spesso credono fanaticamente in cause e in princìpi astratti, e sono inclini a trascurare gli aspetti pratici della vita. Sono fedeli alle cause più che alle persone; sono amanti teorici dell'umanità, ma alquanto indifferenti alle persone che hanno vicino. Il maniacodepresso è una persona calda, sovente pratica, e spesso preferisce il concreto all'astratto. Egli ha affetti profondi, e le sue emozioni dominano la sua ragione.

La struttura della neurosi ossessivo-coatta mostra una precisione quasi matematica che riposa però sulla dissociazione precaria della emozióne dal contenuto emotivo. La lettera della legge ne domina il senso. I lapsus del paziente maniacodepresso sono più emotivi, e la punizione più realistica ed emotivamente trasparente. Nelle depressioni maniache, come nelle depressioni reattive, gli atteggiamenti orali dipendenti e l'identificazione, quale difesa contro la frustrazione, appaiono evidenti, contrariamente agli schemi analosadistici, prevalenti negli stati ossessivocoatti.

Le statistiche degli psichiatri (Kretschmer, Sheldon) affermano che i soggetti affetti da neurosi ossessivocoatta hanno una struttura fisica astenicolongitudinale (ectodermica); i maniacodepressi una struttura picnica (mesodermica); ma esistono troppe eccezioni a 'questa regola, per attribuire grande importanza alla costituzione fisica. La struttura psicologica fondamentale della personalità, tuttavia, è indiscutibilmente un fattore importante nella scelta delle difese neurotiche che, in ultima analisi, determinano i sintomi.

6. La sindrome ipocondriaca

All'epoca in cui la psichiatria era principalmente descrittiva e mancava la comprensione dinamica dei sintomi, l'ipocondria era una diagnosi comune. In realtà, essa non è una malattia, ma una sindrome che appare in diversi sintomi neurotici e psicotici; e in modo particolare nelle depressioni e nelle schizofrenie. Quale paura della malattia, essa può rappresentare una fobia, simile alla sifilofobia o alla fobia del cancro. Dal punto di vista descrittivo, la sindrome consiste in una preoccupazione ansiosa volta verso tutto il corpo, o verso quella parte di esso che il paziente crede ammalata. Umore depresso, ansietà, e sensazioni fisiche diverse ne sono gli aspetti emotivi più palesi. Le idee di questi malati variano, e vanno da abbagli somatici accentuati a una paurosa aspettativa della malattia e della morte.

La preoccupazione per il proprio corpo è una normale reazione alla sofferenza. Il dolore fisico, di regola, induce a non provare più alcun interesse per il mondo esterno. Una malattia penosa spesso è il principio della ipocondria e di quella preoccupazione: ossessionante nei riguardi di un determinato organo, che può persistere molto tempo dopo la raggiunta guarigione. Nondimeno, un tale aumentato interesse per il proprio corpo, persiste solo come risposta a certi bisogni emotivi. Dal lato psicodinamico dobbiamo distinguere tre componenti principali: una narcisistica sottrazione di interesse per gli obbietti estranei all'io; un bisogno di punizione causato dal sentimento di colpa; un trasferimento di ansietà.

La mancanza di interesse per altri si nota più chiaramente nella preoccupazione del proprio corpo che hanno le donne altamente narcisistiche, e già belle, le quali non possono rassegnarsi a diventare vecchie. Una grave ipocondria è un sintomo comune in donne simili. Quando vengono frustrate nella loro pretesa all'ammirazione altrui, provvedono esse stesse a dare al proprio corpo tutta quell'attenzione che una volta ricevevano dagli ammiratori. Anche la frustrazione mobilita gli impulsi competitivi ostili, addormentati sino a che le interessate ricevevano amore e attenzione, e gareggiavano con successo con le altre donne. Questi impulsi ostili ravvivano i primi impulsi competitivi della vita familiare; il senso edipico di colpa e la rivalità tra fratelli. Il senso di colpa crea il bisogno della sofferenza. L'ipocondria appaga ambedue queste necessità: la paziente propina amore e cure al suo corpo, e contemporaneamente attenua il proprio senso di colpa mediante il dolore. La sofferenza diventa una condizione e un pretesto per un esagerato interesse verso se stessi.

Questo modello-base è valido nella maggior parte dei casi. Una aumentata necessità narcisistica, causata dalla frustrazione del desiderio di essere amata, ne è il fattore principale. La frustrazione crea ostilità, quindi senso di colpa, e conseguente necessità di soffrire. I due desideri riuniti — quello di essere amata e quello di soffrire — fanno sorgere i sintomi ipocondriaci.

Il trasferimento dell'ansietà è una difesa contro il timore della castrazione. Il senso di colpa neurotico desta la paura infantile della rappresaglia, il timore della castrazione. L'ipocondriaco trasferisce tale timore a un altro organo, come se egli volesse offrire alla sua coscienza colpevole un organo meno prezioso, a sostituzione dei genitali. In sostanza, questo è un meccanismo simile a quello che si trova nelle fobie.

Nei casi di psicosi nei quali le idee ipocondriache diventano maniache, base della sindrome è l'introiezione degli obbietti amati e insieme odiati, identificati con l'organo che si suppone ammalato. La scelta di un particolare organo dipende in parte dalla natura del conflitto di colpa, e in parte da fattori accidentali.

Un organo che fu già malato, o una diagnosi discutibile, possono offrire la prima occasione al sorgere dell'ipocondria, in individui la cui situazione psicodinamica è matura per lo sviluppo di tali sintomi. In alcuni casi la scelta dell'organo è determinata interamente da fattori psicologici.

In un uomo di affari di mezza età si rivelò una paura morbosa del cancro allo stomaco, malattia che aveva effettivamente causato la morte di suo padre. Egli era un uomo ambizioso, deciso, che era giunto al successo in gran parte con le proprie forze. L'intera sua personalità era polarizzata verso il far denaro e il risparmiarlo. Il suo rapporto con le donne era immaturo; egli pretendeva amore e cure, non dando in cambio quasi nulla, se non beni materiali. In una certa occasione, aveva preteso un compenso in denaro da una donna la quale, in un incidente stradale, gli aveva procurato qualche piccolo danno materiale. Per molti mesi poi ne risentì un senso di colpa, e visse nel timore di una rappresaglia. Subito dopo si svilupparono in lui idee ipocondriache. La sua fobia del cancro era fondata su un profondo senso di colpa per l'aggressività verbale che aveva caratterizzato il suo rapporto con la madre, e successivamente con tutte le donne. Vi era coinvolto anche un senso di colpa verso il padre, poiché nel suo stato di dipendenza possessiva, egli aveva voluto sua madre tutta per sé, considerando il padre come un rivale. La scelta dello stomaco quale sede dei suoi terrori ipocondriaci, era doppiamente determinata: lo stomaco è l'organo dell'assimilazione, le cui necessità erano state in un primo tempo soddisfatte dalla madre; ed era anche la sede del cancro di cui era morto il padre.

7. Neurosi di carattere

Espressioni sinonime per questa categoria sono: neurosi del destino, pazzia morale, personalità psicopatica, disordini di comportamento, personalità a impulsi sfrenati

Tale gruppo comprende una varietà di tipi, i quali esteriormente mostrano notevoli differenze. Il che spiega la diversità delle manifestazioni.

Innanzi tutto questi pazienti si distinguono dagli altri malati di neurosi per il fatto che derivano le loro soddisfazioni neuroti che e il bisogno di punizione non dai sintomi, ma dal loro comportamento coordinato e dagli eventi importanti della loro vita. Per questo riguardo si avvicinano alle persone normali. Essi si contentano delle soddisfazioni sostitutive offerte dai sintomi neurotici. « Traducono in atto» i loro impulsi neurotici, diversamente dagli psiconeurotici, la cui attività più importante si svolge nella fantasia. Le tragedie di una persona affetta da neurosi os sessivocoatta hanno luogo nella stanza da bagno e da letto, e nessuno le conosce, salvo coloro che vivono vicinissimi ai pazienti. La persona affetta da neurosi di carattere è un attore sul palcoscenico della vita, e la sua condotta normale tocca tutti coloro che lo circondano. Il significato inconscio del suo comportamento è comprensibile solo nell'ambito dell'intero ritmo della sua vita. I suoi bisogni inconsci non si manifestano nella fantasia, ma il suo destino è plasmato dalla pressione implacabile di schemi neurotici inconsci.

Il contrasto tra gli ordinari sintomi neurotici e il tradurre in atto tendenze avverse inconsce, può essere illustrato dal concetto di Ferenczi degli adattamenti autoplastici contro (versus) quelli alloplastici. L'organismo possiede due meccanismi fondamentali a sua disposizione per appagare i propri bisogni: cambiamenti in seno all'organismo; mutamenti nell'ambiente. Il bisogno di calore può essere soddisfatto con l'aumentare il tonomuscolare, col ridurre la superficie del corpo rannicchiandosi, facendo del moto, oppure accendendo il fuoco. Le prime tre cose sono un adattamento autoplastico; l'ultima, alloplastico. Lo sviluppo filogenetico può essere considerato una serie di mutamenti autoplastici in seno all'organismo, i quali adattano il corpo a un dato ambiente. Per esempio, nella regione artica, gli animali sono provvisti di pesanti pellicce. La cultura è un adattamento alloplastico che cambia l'ambiente adattandolo ai vari bisogni dell'organismo. La protezione contro il freddo viene assicurata, costruendo case provviste di riscaldamento. I sintomi neurotici sono tutte misure autoplastiche per mezzo delle quali le tensioni emotive vengono alleviate internamente da sintomi di conversione, da attività immaginative, ecc.

I sintomi neurotici producono poco effetto sull'ambiente; essi appartengono alla vita privata del paziente. Un vero appagamento ottenuto attraverso uno sforzo, è alloplastico e influisce sull'ambiente. Il desiderare intensamente una persona può trovare un provvisorio appagamento nella fantasia, ma non si tratta di un'effettiva realizzazione. L'amore e il matrimonio cambiano invece la situazione reale. Ciò corrisponde alla teoria di Freud sui sintomi neurotici, quali sostituti immaginari di azioni di soddisfacimento. Questo gruppo di personalità neurotiche mira all'appagamento di tendenze avverse inconsce, non per mezzo della sola fantasia, ma attraverso il proprio modo di comportarsi nella vita nei riguardi degli altri. Tale tipo di manifestazione delle tendenze neurotiche, contrariamente ai sintomi neurotici ordinari, può essere considerata alloplastica.

Il contrasto tra sintomi autoplastici e comportamento alloplastico si applica rigidamente soltanto alla differenza tra isteria da conversione, neurosi ansiosa, coazione, neurosi ossessiva, e personalità neurotica. Nella fase maniaca, il paziente ciclotimico traduce in atto i suoi impulsi inconsci, e il paziente depresso può appagare la propria necessità di punizione mediante il suicidio. Gli schizofrenici paranoici possono anch'essi tradurre in atto i loro impulsi. Ma in tutti questi stati, la fantasia è lo sfogo importante, e l'azione irrazionale è solo occasionale. Nelle neurosi di carattere l'azione è lo sfogo principale, sebbene in questi pazienti possano svilupparsi anche dei sintomi neurotici che sostituiscono l'azione. La classificazione tende sempre a sintetizzare le categorie, mentre la maggior parte dei casi presenta sintomi misti. Soltanto la prevalenza di un certo tipo di schema neurotico può servire come base della classificazione.

Nonostante ciò non è più diffìcile diagnosticare una neurosi di carattere di quanto non lo sia la diagnosi di altri perturbamenti psichici. L'affermazione che una diagnosi di personalità psicopatica o di neurosi di carattere nasconda semplicemente l'ignoranza, è dovuta ad una scarsa comprensione del dinamismo di simili casi. Non vi è, in psichiatria, altro stato nei riguardi del quale si sia fatta maggior confusione e si sia incorsi in errori, più che in questo campo. Molti pazienti, affetti da neurosi di carattere, furono per molto tempo considerati persone cattive, asociali, intrattabili, prive di coscienza, o costituzionalmente difettose. Ci volle molto perché l'atteggiamento scientifico sostituisse quello moralistico nel trattamento psichiatrico di questi pazienti. Il vecchio termine psichiatrico, usato per la prima volta da Prichard, «pazzia morale», esprime tale antiquato atteggiamento così chiaramente quanto la recentissima «personalità psicopatica, costituzionalmente inferiore». La verità è che in questi casi le influenze ambientali hanno un ruolo almeno altrettanto importante che nella maggior parte delle forme di perturbazione mentale. Simili pazienti sono meno portati a soddisfazioni immaginarie introverse e, come le persone sane, esigono una attività realistica per soddisfare i propri bisogni. Soltanto, il loro adattamento all'ambiente sociale è basato su princìpi falsi. Il perturbamento degli schemi sociali è l'effetto dei primi rapporti genitorifigli, ed è interessantissimo osservare quanto spesso i genitori conducano dallo psichiatra dei bambini, i quali presentano questo problema di comportamento, insistendo nel dire che il figlio è un fallimento sin dalla nascita. In tal modo essi si difendono da un inconscio senso di responsabilità per le difficoltà in cui si dibatte il fanciullo.

Tali pazienti possono essere divisi, così all'ingrosso, in due gruppi: criminali psicopatici, ed eccentrici. Questa è, però, soltanto una suddivisione pratica. La posizione sociale ha grande importanza, perché i più privilegiati manifestano la loro ostilità più di frequente nell'eccentricità che non nella delinquenza.

Sarebbe sciocco classificare i neurotici secondo le rispettive occupazioni: pretendere, ad esempio, che i neurotici coatti siano di solito artisti, professori o uomini di affari. Se ne trovano in tutti i sentieri della vita, perché la loro occupazione ha poco a che fare con la loro neurosi. Forse gli studiosi di statistica potrebbero dimostrare che la maggior parte di essi persegue mete intellettuali. Il lavoro ha un significato del tutto diverso per le persone affette da neurosi di carattere. Anche costoro possono incontrarsi in ogni genere di occupazione; ma di solito si trovano in quelle che consentono l'azione. È facile trovare in questo gruppo avventurieri, truffatori, confidenti della polizia, speculatori, sportivi, collezionisti, e ogni sorta di delinquenti; ma raramente s'incontrano avvocati, medici, alti funzionari, le cui occupazioni implicano ordine, controllo e responsabilità.

Come abbiamo già insistentemente detto, questo gruppo di neurotici comprende una grande varietà di personalità. I moventi inconsci, responsabili di una condotta squilibrata e che conducono alla ripetizione di certe situazioni interpersonali, sono molteplici. A parte i criminali e gli eccentrici, la condotta neurotica di alcuni di questi pazienti può essere caratterizzata da ripetuti matrimoni che terminano tutti in un fallimento di tipo identico, da fallimenti professionali che si ripetono tutti nello stesso modo, o da altri rapporti neurotici interpersonali. Freud ha caratterizzato un gruppo ben noto: coloro, cioè, i quali falliscono sempre, dopo aver conseguito vii successo, a causa di un senso di colpa profondamente radicato che non consente loro di godersi in pace il successo raggiunto. Malgrado questa grande varietà, esistono alcuni aspetti comuni, tipici delle persone affette da neurosi di carattere. La loro manifestazione è caratterizzata da tre caratteristiche principali: l'irrazionalità; la ripetizione stereotipata di modelli di comportamento; l'autodistruzione.

La irrazionalità è dovuta al predominio di fattori inconsci, e la ripetizione stereotipata può essere riportata alla medesima origine. I motivi inconsci non possono venire modificati per mezzo di adattamenti coscienti, e i modelli di comportamento stereotipati equivalgono ai sintomi. Spesso si chiamano «condotta sintomatica », perché il conflitto inconscio che è alla loro base non può esser posto sotto il controllo dell'io.

L'autodistruzione è suscitata dai rigidi dettami del superio, che appoggia il senso inconscio di colpa. Nella valutazione psichiatrica di questo gruppo, trascurare il senso di colpa inconscio è un errore comune. Il fenomeno di corruzione del superio può essere notato ancora meglio in questi pazienti che non in altri gruppi. Freud per primo afferrò il significato del senso di colpa nei criminali neurotici, e parlò di «delitti commessi a causa di un sentimento di colpa». Il meccanismo centrale è il transfert del senso di colpa sorto da conflitti repressi (di solito da una situazione edipica) a qualche delitto tangibile e convenzionale. Col rubare o col frodare essi commettono un'azione proibita molto meno riprovevole del desiderio proibito che ospitano nel loro inconscio. Il loro guadagno neurotico è rappresentato dalla punizione che subiscono per una colpa banale; punizione che li solleva da un senso di colpa ben più grave. La loro condotta ha dunque un doppio movente. Essa, come sintomo neurotico, esprime un impulso avverso, e la sua espiazione. Di solito, costoro si scoprono perché i loro errori sono inconsciamente deliberati. La credenza popolare che non esista delitto perfetto, è un'affermazione istintiva di questo fatto. In Delitto e castigo, Dostoievski ha descritto questo inconscio bisogno di espiazione più realisticamente di quel che non possa fare alcuna storia clinica. Dopo un castigo severo per una colpa relativamente lieve, la coscienza si sente sollevata, e il colpevole neurotico dal punto di vista emotivo è pronto alla recidiva.

La superstizione degli psichiatri, che tali pazienti siano incurabili, nasce da questo fenomeno psicodinamico. Essi restano incurabili sino a che la società si uniforma alla loro neurosi, col punirli. Una neurosi di tal genere è un adattamento ai metodi punitivi di educazione. Il castigo redime il delitto. Col provocare la punizione, essi si liberano della loro colpa e possono commetterne di nuove. La terapia deve infrangere questa formula. Il successo terapeutico con questo gruppo di ammalati (come quello di Aichorn) si basa sul fatto di mettere in imbarazzo il delinquente neurotico reagendo in un modo nuovo, gentile e misericordioso, alla sua condotta provocatoria. Ciò scuote il suo equilibrio, armonizzato al trattamento duro e repressivo ricevuto in precedenza. Victor Hugo suggerì tale tipo di terapia nei Miserabili, sessanta anni prima che Freud formulasse il suo concetto del superio.

Tra i criminali neurotici possono facilmente riconoscersi lo spirito di distruzione e di autodistruzione, ma essi vengono nascosti con maggior successo negli eccentrici, i quali manifestano apertamente la loro aggressione e lo spirito di autodistruzione. Essi s'impegnano sovente in sport o in passatempi pericolosi e competitivi. Scalano vette montane che non erano mai state raggiunte prima, stabiliscono primati di velocità, o cercano di avere collezioni più complete di altri, ad altissimo prezzo. L'autodistruzione qui viene appagata a costo di estremo sacrificio e pericolo. La soddisfazione narcisistica che proviene da queste vittorie è un ulteriore fattore causale.

I giocatori di azzardo formano una categoria a parte. Il desiderio aggressivo di acquisizione e lo spirito di autodistruzione vengono appagati simultaneamente con l'affidarsi alla fortuna. La differenza tra eccentrici e criminali è spesso determinata dalla posizione sociale, ma la natura degli impulsi ostili e l'esperienza precedente possono essere anch'essi elementi importanti.

8. Alcolismo e stupefacenti

L'uso cronico dell'alcool e degli stupefacenti di solito è un'abitudine acquisita, quale complicazione secondaria delle depressioni e delle neurosi di carattere. La morfina dapprima si prende per mitigare il dolore, ma il movente cambia quando diventa un vizio e mira a sollevare il paziente dall'angoscia morale. La terza fase è l'adattamento fisiologico dell'organismo alla droga. Si tratta di innervazioni sovracompensatorie dirette contro gli effetti inibitori della droga, ed esse sono responsabili di una grande sofferenza fisica, quando lo stupefacente viene sottratto al paziente.

Di tutti i vizi, l'alcolismo è quello di gran lunga prevalente, sia nella sua forma cronica che periodica. Qui si ritrovano la dipendenza orale e l'autodistruttività, come è stato dimostrato da Knight. Autori precedenti affermano che l'omosessualità latente è, in tali casi, un fattore comune.

Nella maggioranza dei casi, si tratta di una neurosi depressiva. Molti pazienti si danno all'alcool per sfuggire alla depressione, e lo usano come surrogato. Lo stimolo iniziale dell'alcool provoca uno stato ipomaniaco, e permette ai pazienti di superare le inibizioni dovute al senso di colpa. Le tristi conseguenze dell'alcolismo rimpiazzano ammirabilmente altre forme di autopu nizione. Le persone affette da neurosi di carattere spesso ricorrono all'alcool, come aiuto per tradurre in atto i propri impulsi inconsci.

La sanzione sociale dell'alcool e l'effettivo piacere proveniente dal rilassamento delle inibizioni, spiega solo in parte le difficoltà incontrate dalla psicoterapia dell'alcolismo. La supposizione che le vittime di tale abitudine soffrano di una debolezza basilare dell'io, non può essere respinta facilmente. Essa è confermata, almeno parzialmente, dal fatto che l'aiuto offerto dall'Alcoholics Anonymous 1 è spesso più efficace che non la terapia analitica, la quale esige, da parte dei pazienti, una dose di capacità integrativa e di controllo maggiore di quella da loro posseduta.

9. Acute reazioni neurotiche a esperienze traumatiche (neurosi traumatiche)

Dal punto di vista psicodinamico, non può giustificarsi la divisione convenzionale tra le varie reazioni neurotiche ai traumi fisici, che si verificano comunemente nell'industria e in guerra, quali malattie specifiche. Ciascuna esperienza nella quale l'io viene subitamente soverchiato da stimoli che non riesce a ridurre al livello del suo equilibrio omeostatico, è traumatica. La natura obbiettiva del fatto traumatico è di importanza secondaria. Naturalmente, esperienze violente fatte in combattimento, che durante la prima guerra mondiale si chiamavano «shock da scoppio», sarebbero traumatiche per chiunque. Le privazioni emotive causate dalla guerra — trasferimenti e separazione dalla casa e dalla famiglia — possono produrre effetti simili a violente esperienze fisiche che trascendono le facoltà di adattamento dell'io. In guerra soverchiami esperienze emotive e fisiche si intersecano, ed è difficile separare i loro effetti neurotici. Psichiatri molto competenti nel corso dell'ultima guerra furono colpiti dal fatto che l'uccisione di un nemico e il risultante senso di colpa, fossero esperienze traumatiche più comuni che non quelle derivanti dal trovarsi esposti personalmente a sforzi fisici e a ferite.

A questo proposito è importante rendersi conto che ogni neurosi è una reazione a una situazione che oltrepassa le facoltà di adattamento dell'io.

Ciò che caratterizza il gruppo delle neurosi traumatiche non è il trauma (presente in ogni tipo di neurosi), ma la sua intensità. Nelle neurosi croniche, le esperienze traumatiche sono meno drammatiche e hanno un lento effetto cumulativo attraverso il ripetersi di penose situazioni emotive. Negli stati definiti «neurosi traumatiche» noi abbiamo a che fare con l'intenso susseguirsi di stimoli improvvisi ed emotivamente sconvolgenti. Questo gruppo può meritare una certa considerazione dal punto di vista descrittivo quale entità ideologica, solo a causa della sua imponente sintomatologia clinica e del suo corso rapidamente mutevole.

I sintomi traumatici osservati durante la guerra in individui esposti a un concomitare di sforzi emotivi e fisici, e quelli notati in seguito ad accidenti industriali, mostrano un'estrema varietà: perdita della coscienza, gravi turbe nel sonno con incubi ricorrenti, tremori, perdita di attività coordinate quali il camminare e il parlare, convulsioni epilettoidi, estrema irritabilità, aggressività diffuse e improvvisi mutamenti di umore, disturbi funzionali di tutti i sistemi vegetativi, e in modo particolare di quelli gastrointestinale, cardiovalvolare e respiratorio. In linea generale tutti questi sintomi possono essere considerati quali strascichi della ansietà. La maggioranza di essi sono chiaramente reazioni regressive a uno sforzo e a un'ansietà molto accentuati. I pazienti di frequente diventano come fanciulli smarriti, i quali abbiano perduto tutte quelle facoltà che erano venuti acquistando durante la crescita. Essi sovente debbono imparare di nuovo a parlare, a camminare, ad adoperare le mani. La perdita della coscienza consiste nel ritrarsi nella maniera più radicalmente regressiva dal contatto con una realtà che si è dimostrata troppo inaccettabile.

I disturbi vegetativi sono esagerazioni delle reazioni vegetative normali alle varie emozioni. Tali reazioni, quali il battito cardiaco accelerato dalla paura, sono transitorie; ma i sintomi neurotici perpetuano le reazioni normali sino a renderle croniche, e persistono molto tempo dopo che il pericolo è passato. Un simile persistere della psicologia di emergenza si osserva chiarissimamente nella caratteristica «reazione da spavento» che avviene al più piccolo rumore avvertito dal paziente. Ciò può continuare anche dopo che siano spariti gli altri sintomi acuti.

Tutte queste reazioni possono essere spiegate come segni lesivi dell'io, il quale, sotto l'influenza intimidatrice del trauma, non padroneggia più la coordinazione, e si ritrae regressivamente, nella incapacità di difendersi.

Le neurosi causate dalla guerra recentemente hanno suscitato una notevole controversia circa la posizione che occupano tra i disturbi neurotici. Kardiner mise in particolare rilievo la perdita della «padronanza», e tentò di isolare «le neurosi traumatiche» da altre forme di psiconeurosi, considerandole tipi essenzialmente diversi di stati patologici.

In base ai casi cronici studiati dopo la prima guerra mondiale, egli giunse alla conclusione che il nucleo delle reazioni traumatiche è una «fisioneurosi»; il che è ben diverso dalla cosiddetta «neurosi da transfert».

Dopo il trauma, il dominio dell'io sul corpo, gradatamente raggiunto durante lo sviluppo, viene improvvisamente turbato. L'io traumatizzato perde le proprie facoltà e regredisce. Esso ha a sua disposizione soltanto frammenti disorganizzati di attività precedentemente coordinate. I suoi futili tentativi per dominare i pericolosi stimoli esterni mediante le proprie sminuite facoltà, sfociano nell'irritabilità e in una condotta aggressiva, sovente esplosiva. Kardiner alquanto artificiosamente separa questi perturbamenti della capacità di controllo dell'io sul corpo, da preesistenti problemi neurotici, i quali appaiono man mano che la malattia progredisce verso la sua fase cronica.

Grinker e Spiegel, ammaestrati dalle vaste esperienze fatte durante la seconda guerra mondiale, sostengono che le neurosi traumatiche non costituiscono una malattia mentale unica, ma sono prodotti di varie reazioni neurotiche, simili, nelle cause e negli effetti, a tutte le altre neurosi e diverse soltanto per l'intensità e la gravità dei fattori precipitanti e per il colore particolare da essi loro conferito. Secondo tali autori ciascuno può venire colpito da neurosi traumatica, se lo sforzo è sufficientemente grave, o se il male attacca l'individuo nel suo punto vulnerabile, o quando egli è eccessivamente impegnato nel risolvere altri problemi. Essi affermano che tutti gli esseri umani posseggono capacità integrative limitate, ma che ogni reazione al trauma — lieve o grave che sia — dipende da precedenti schemi psicologici dell'individuo, e dalle esperienze a cui egli è stato sottoposto prima del trauma stesso. Inoltre, il trauma può non essere una soverchiarne paura della morte, ma la reazione a incidenti quali la morte di una persona cara o di un compagno prediletto. Sono da notarsi anche lo smarrimento e la impossibilità a muoversi, quando più è necessario agire, e altre numerose situazioni interpersonali.

Gli autori affermano, in base a una vasta esperienza terapeutica, che la complessa fusione di acute reazioni traumatiche con antichi conflitti emotivi, non può venire interamente abolita. Mettono in rilievo che il significato soggettivo della situazione obbiettiva è di altissima importanza nel produrre effetti neurotici. Per esempio, la morte di un camerata può essere sentita come il risultato magico di una ostilità inconscia verso di lui; o la paura della morte può aumentare molto a causa di un senso di colpa preesistente che porta il soldato ad aspettarsi la morte come un meritato castigo. Inoltre, l'io leso e intimidito sarà più facilmente vulnerabile da antichi conflitti, già da esso controllati. Ciò spiega perché, se non curati, molti di questi stati neurotici causati dalla guerra, tendono a divenire cronici; il che significa una fusione dei sintomi residui della fase acuta, con i vecchi conflitti neurotici che l'io non può dominare più a lungo, perché le sue facoltà integrative sono state sminuite dal trauma acuto. Quindi il metodo terapeutico di trattarli è comprensivo, e influisce sulla malattia nel suo complesso; e cioè, sia sugli stati di timidezza, risultati delle recenti esperienze belliche, che sui riattivati problemi pretraumatici. Nel curare lo stato acuto Klinger e Spiegel sottolineano l'importanza del restituire la fiducia al paziente mediante un ambiente fisico protettivo, e usando l'influenza personale. Adoperando i sedativi in un procedimento che chiamano «narcosintesi», essi mettono in grado il soldato di rifare nella fantasia le proprie sconvolgenti esperienze in condizioni più favorevoli; quando cioè l'ansietà è diminuita sia per l'azione della droga che per la presenza rassicurante del medico. In tal modo l'io riprende il proprio controllo, ed è meglio preparato ad affrontare i problemi della neurosi cronica.

Le neurosi traumatiche offrono un'evidenza semplice e convincente, per il fatto fondamentale che il fallimento funzionale dell'io nel conservare l'equilibrio omeostatico ha un effetto prolungato nel minare la sua fermezza e indurlo a ritrarsi, regressi: vamente, dai suoi compiti esecutivi. È questa l'essenza di tutti i disturbi neurotici.

10. Sintomi di conversione

Si tratta di innervazioni croniche dei muscoli volontari e de gli organi dei sensi, causate da impulsi avversi inconsci. Esse esprimono i desideri repressi e nello stesso tempo li respingono. Il termine « conversione» fu inventato da Freud per indicare che un sintomo fisico sostituisce un'idea carica di emozione, e ne può essere considerato l'equivalente dinamico. Il termine è infelice in quanto suggerisce una misteriosa trasformazione di una entità psicologica in entità fisica. Dal punto di vista psicologico, la conversione non è diversa da ogni normale innervazione, quali il pianto, il riso o il rossore; né è diversa dal comportamento volontario. Sotto la loro influenza emotiva, noi attuiamo un'appropriata e coordinata innervazione muscolare, per soddisfare i nostri bisogni subiettivi. Non ha luogo alcun salto dallo stato psichico a quello fisico. I processi cerebrali da noi registrati come sentimenti e idee, sono gli stimoli centrali che portano a innervazioni dei muscoli volontari. Lo stesso può dirsi dei moti espressivi, come il riso e il pianto. La conversione isterica è causata da impulsi inconsci i quali vengono repressi perché estranei all'io. Avviene una specie di corto circuito, in cui un'emozione si esprime senza passare attraverso l'io conscio. La conversione isterica sostituisce inadeguatamente l'impulso represso, che potrebbe trovar sfogo solo nella azione. La repressione inibisce l'azione, e la tensione causata dalla tendenza inconscia che non ha potuto trovar sfogo, diventa una innervazione cronica. Poiché i sintomi di conversione hanno luogo nel sistema che di solito è sotto il controllo dell'io, spesso gli osservatori ignoranti li scambiano per segni deliberati di simulazione morbosa.

Prima di Freud molti medici erano inclini a considerare i sintomi isterici come simulazioni, e tale opinione era rafforzata dal fatto che non poteva trovarsi una base organica atta a giustificare quei sintomi.

In una contrazione isterica i nervi periferici e i gangli implicati, non vengono minorati; non veniva però considerata la possibilità che la perturbazione potesse avere origine nei centri superiori del cervello, dove sono localizzati i processi intellettuali ed emotivi.

L'esempio classico di conversione è il «grande attacco isterico» descritto da Charcot. Durante l'attacco, il paziente è incosciente ed è soggetto a moti convulsivi di tutto il corpo, che indicano una passione intensa. I movimenti suggeriscono l'atto sessuale ed esprimono, a questo riguardo, desideri repressi i quali vengono respinti dalla mente cosciente.

Diversamente da questi attacchi periodici acuti di conversione, i sintomi isterici più comuni sono cronici, come le paralisi, le contrazioni delle membra, le anestesie, le parestesie e le iperestesie che si producono in differenti organi dei sensi. Queste ultime si manifestano più comunemente sulla pelle e alterano il senso tattile. La cecità e la sordità isterica sono molto meno frequenti. Il restringimento del campo visivo, chiamato «visione tubolare», si trova però comunemente nei casi di isteria. I sintomi più comuni della conversione isterica si chiamano «stigmate» — e consistono, ad esempio, nella sparizione dei riflessi faringei o cornei e nella strana sensazione di un corpo estraneo in gola (globus istericus). La relativa uniformità dei sintomi di conversione isterica, può trovare spiegazione nel fatto che molti di essi si basano su certe tipiche esperienze infantili e su situazioni di conflitto. Ciò è particolarmente vero per le stigmate. Poiché i sintomi di conversione sovente permettono alla carica emotiva delle tendenze inconsce di sfogarsi, il paziente appare impassibile e indifferente (la belle indifference).

I sintomi isterici hanno un doppio significato simbolico. Essi esprimono un desiderio, e insieme il rifiuto che se ne fa. Negli attacchi acuti di grande isteria l'appagamento del desiderio è più cospicuo, e il rifiuto si manifesta soltanto nel fatto che il paziente non ne è cosciente. Nelle forme più comuni come le contrazioni isteriche e le paralisi, in primo piano troviamo il rifiuto di una intenzione. Nelle sue dimostrazioni cliniche, Charcot produceva in via sperimentale, mediante la suggestione ipnotica, la paralisi isterica del braccio, la quale esprime l'opposizione al desiderio di colpire qualcuno con la mano affetta da paralisi.

Il sintomo di conversione isterica spesso serve a sostituire un atto coordinato, ed esprime solo una parte dell'azione totale. Il desiderio di essere abbracciato può esprimersi — come nel caso della Dora di Freud — in un dolore al petto, che rappresenta la stretta delle braccia, già esperimentata dalla paziente nel passato.

Il settore volontario di certe funzioni vegetative, quali, ad esempio, il mangiare, può essere il contenuto della conversione isterica, come avviene appunto nel vomito isterico. Sovente esso esprime il diniego di un desiderio sessuale, di solito della fecondazione. È un sintomo comune nelle giovinette isteriche ed è fondato sulla diffusissima fantasia infantile della fecondazione orale.

Il significato inconscio del vomito isterico, però, non è sempre così specifico. Il modo infantile di esprimere un desiderio di qualsiasi cosa, è di metterla in bocca. Il vomito isterico può rappresentare il rifiuto di ogni desiderio avverso, ed essere una espressione di disgusto.

La contrazione isterica di una gamba può esprimere desideri inconsci di castrazione, il membro contratto simboleggiando l'afflosciarsi di un pene eretto. Questo movente è stato illustrato nell'analisi di una giovinetta isterica, descritta da Bosselmann. La contrazione della gamba in quel caso era anche una difesa contro l'assalto sessuale.

In un caso di torcicollo che ebbi occasione di analizzare, il volgersi della testa da un lato aveva un'origine molto complessa. Innanzi tutto rappresentava un inconscio desiderio di «fellatio». Dapprima, il sintomo si manifestò mentre il paziente — un commerciante — sedeva sulla poltrona del barbiere. Secondariamente, più in profondità, è probabile che esso rappresentasse un volgersi verso la madre, e corrispondesse alla posizione dell'allattamento.

Il sintomo riapparve nel paziente quando, per un cumulo di circostanze, caddero le difese contro la sua dipendenza orale e passiva. Egli aveva perduto una gamba in un incidente all'età di otto anni, e come difesa contro la sua debolezza e dipendenza, si sviluppò in lui una personalità estremamente fiera e indipendente. In seguito, divenne il sostegno dei suoi fratelli maggiori, e cercò sempre di aiutare gli altri. Nella prima giovinezza, apparvero in lui sintomi di neurosi dello stomaco, causata da tendenze orali represse di dipendenza; ma egli non vi fece attenzione.

Adottò il figlio di una sorella morta, ed ebbe per questo ragazzo tutte le cure e le attenzioni che avrebbe voluto per lui dagli altri, ma che si era sempre negato, per il timore di apparire debole e bisognoso di aiuto. La sola persona alla quale poteva appoggiarsi era una delle sue sorelle, e i sintomi si svilupparono poco dopo la morte di questa sorella, quando il suo figlio adottivo stava per entrare nell'esercito. Così venivano a essere eliminati due importanti sfoghi del suo bisogno di dipendenza. La sorella aveva appagato direttamente quel bisogno; il figlio adottivo gli aveva procurato un soddisfacimento sostitutivo di quella stessa necessità. Allorché si trovò privato di tutti e due questi sfoghi, gli venne il torcicollo. Esso rappresentava una forma repressa di dipendenza infantile sia dagli uomini (fantasie circa la capigliatura), che dalle donne (il succhiamento del seno). Il trattamento psicoanalitico riuscì a guarire questo paziente.

Molti autori affermano che i conflitti emotivi che si trovano all'origine dei sintomi di conversione sono allo stadio genitale e fallico; e in molti casi ciò è senza dubbio vero. La dipendenza orale costituisce tuttavia un'altra base comune. Impulsi aggressivi repressi, per esempio verso la castrazione, sono anch'essi frequenti. La teoria genitale dell'isteria può essere sostenuta, tenendo però fermo che il conflitto originario avviene a uno stadio di sessualità matura, da cui il paziente spesso ritorna a sostituti pregenitali. I sintomi sono difese, parte contro desideri sessuali, e parte contro i loro sostituti regressivi. Questo schema si applica però anche a molte altre neurosi, nelle quali il conflitto precipitante avviene a uno stadio di sessualità matura, da cui il paziente regredisce dapprima verso fantasie edipiche, e poi verso atteggiamenti pregenitali. Il problema da risolvere è questo: quali desideri inconsci esprimono i sintomi? Secondo la mia esperienza, i sintomi di conversione possono esprimere tendenze represse di ogni genere, e appartengono a ogni stadio di sviluppo emotivo.

È poi un'altra questione stabilire se un tipo di personalità sia più di un altro incline allo sviluppo dei sintomi di conversione. Ciò ci conduce a un gruppo di pazienti di solito chiamati «isterici», i quali raggiungono in modo più completo di altri neurotici lo stadio genitale, o per lo meno fallico, dello sviluppo psicosessuale. Prima di parlare dettagliatamente di questo gruppo, dobbiamo ammettere che la dipendenza orale — estremamente immatura — di molti pazienti isterici, sembra contraddire l'idea generale che essi abbiano uno sviluppo psicosessuale più completo che non altri neurotici. Di fatto pare che molti pazienti in cui più tardi appare la melanconia, siano incapaci prima della malattia, di rapporti umani più maturi che non gli isterici tipici. Comunque, il tentativo di spiegare la tendenza al formarsi di certi tipi di sintomi per mezzo della « fissazione» a certe ben definite fasi di sviluppo, ha bisogno di ulteriori ricerche. Questa teoria sembra più applicabile alle schizofrenie e alle neurosi coatte.

Nelle prime, la scarsa relazione in cui l'io è con la realtà esterna, e la sua tendenza a sostituire alla realtà la fantasia, indica il perturbamento delle sue prime fasi di sviluppo; fasi in cui avviene la differenziazione tra l'io e la realtà esterna. Nelle neurosi coatte viene generalmente ammessa la preminenza del sadismo anale e di tratti di carattere, quali la puntualità, la pulizia e l'ordine esagerato, risultato di prime severe abitudini igieniche. La prevalenza di fantasie orali e di relativi rapporti affettivi dipendenti, è egualmente cospicua nelle depressioni, nelle conversioni isteriche e nelle personalità isteriche. La conversione isterica non si limita a certi tipi di personalità, e ciò non sorprende, poiché i sistemi volontari e sensori sono gli organi della espressione emotiva. La manifestazione simbolica delle tendenze represse attraverso le innervazioni di questi sistemi, si trova occasionalmente in tutte le categorie di neurosi.

La credenza che la conversione isterica abbia una particolare affinità con i conflitti genitali, può attribuirsi a varie cause. I sintomi di conversione isterica furono studiati dapprima da Freud nel periodo in cui egli stava rendendosi conto del significato dei desideri sessuali repressi, ma non aveva ancora sviluppato la sua teoria della sessualità pregenitale. Le convulsioni della grande isteria traducono in atto la fantasia del rapporto sessuale; e un certo tipo di personalità neurotica chiamata «isterica», è effettivamente caratterizzato da una rigida repressione degli impulsi genitali. Questi pazienti sono per lo più donne, esibizioniste e portate a drammatizzare emozioni che in realtà non sentono.

Tale falsità è confermata dalle bugie fantastiche con le quali queste pazienti cercano di far colpo sugli altri e su loro stesse. Esse lottano disperatamente per esprimere sentimenti sessuali inibiti. Gli attacchi convulsivi rappresentano una forma estrema dello stesso processo dinamico che informa il dispiegarsi drammatico di emozioni da parte di pazienti isteriche. L'impressione di falsità viene a crearsi anche se la condotta esterna della persona isterica è presso a poco quella che sarebbe stata se le emozioni ostentate fossero state sinceramente sentite. La esagerazione e la ostentazione teatrale delle emozioni è talmente evidente che è facile, anche per osservatori inesperti, accorgersi della mancanza di genuinità delle emozioni medesime. I sintomi di conversione sovente imitano le malattie organiche, proprio come la condotta isterica ostenta emozioni non sentite. La verità è che gli impulsi inconsci che operano nelle personalità isteriche, di solito, sebbene non sempre, sono fallici o genitali. È questa la base della teoria la quale sostiene che i sintomi di conversione isterica esprimono sempre impulsi fallici o genitali. Il che è in gran parte vero per ciò che riguarda la condotta isterica, ma non per tutti i sintomi di conversione.

A questo proposito, dovrebbe esser messo in rilievo che la nostra conoscenza dell'etiologia, per quel che riguarda varie forme di neurosi, è ancora limitata.

La teoria della conversione isterica è stata erroneamente estesa a tutti i disturbi fisici in cui giuocano le emozioni; anche ai disturbi degli organi viscerali, *i quali funzionano sotto il controllo del sistema nervoso autonomo. Un attento esame psicosomatico delle disfunzioni emotivamente condizionate dello stomaco, dell'intestino, dei sistemi endocrino, circolatorio e respiratorio, hanno dimostrato che la fisiologia e il dinamismo psichico che sono alla base di questi casi, sono essenzialmente diversi da quelli dei meccanismi di conversione. Lo studio delle componenti emotive nelle malattie degli organi vegetativi, si è dimostrato molto significativo. Esso ha aperto la nuova era della medicina psicosomatica.

11. Le schizofrenie

Il contributo della psicoanalisi a questo gruppo di neurosi è più chiarificatore che terapeutico. Esistono opinioni assai diverse circa le cause della schizofrenia, che comprende una grande varietà di stati neurotici. Alcuni accentuano l'importanza della psicogenesi; altri considerano la schizofrenia come un processo organico progressivo di malattia, e le sue manifestazioni psicologiche come «epifenomeni». Tale divergenza di opinioni è dovuta all'ignoranza dei fatti. Sembra molto probabile che nella maggioranza dei casi di schizofrenia, abbia un'importanza fondamentale un elemento costituzionale ancora non ben definito.

La differenza psicodinamica tra psicosi e neurosi è stata così formulata: le prime sono causate da un conflitto tra le diverse parti strutturali dell'apparato mentale, le seconde da un disordine della personalità nel suo rapporto col mondo esterno. È vero che a tratti o in stadi progressivi, lo psicopatico perde il contatto con la realtà esterna perché falsifica i dati delle sue percezioni sensorie. Egli è così soggetto alla pressione delle sue stesse esigenze squilibrate, che non può accettare una realtà opposta a esse; e perciò la falsifica. Le forme più accentuate di tale falsificazione sono le allucinazioni; ma le illusioni e gli abbagli hanno un significato simile. Questa tendenza a falsificare appare evidente negli abbagli: qui, lo psicopatico avverte entro di se impulsi inaccettabili, ostili o sessuali; rifiuta di riconoscerli come suoi, ma non riesce a reprimerli e li proietta in altre persone. La resistenza dei paranoici a tutte le spiegazioni dei loro sintomi, e la impossibilità di convincerli dell'errore delle loro sensazioni, è dovuta all'aver essi avvertito entro di sé emozioni ostili e sessuali irreprimibili. Il loro errore consiste soltanto nell'aver localizzato erroneamente tali emozioni. Non vogliono ammettere di sentirle, e le proiettano perciò in immagini, la cui vividità deriva da una effettiva esperienza interna. In altre parole, lo psicopatico non ha, in un certo senso, alcuni rispetto della realtà. È più facile, per lui, perder contatto con la realtà, che non controllare le proprie emozioni, e di conseguenza risolve il suo conflitto interno cambiando il quadro della realtà per adattarlo alle proprie esigenze personali.

È importante, negli psicopatici, distinguere tra due generi di conflitti. Il primo può essere così definito: «Il mondo non è come io lo vorrei. Io non voglio vivere in un mondo simile, e perciò preferisco vivere nel mondo della fantasia. Sono quindi pronto a sacrificare soddisfazioni reali ad altre illusorie, di mia scelta.»

Il secondo tipo di conflitto produce le illusioni e tutti gli altri fenomeni paranoici, ed è identico ai conflitti delle psiconeurosi. Tali conflitti sorgono non perché la realtà esterna non soddisfi, ma perché certe emozioni sono inaccettabili. Nelle neurosi gli impulsi ostili e sessuali inaccettabili vengono repressi, ma affiorano camuffati da sintomi neurotici, e raggiungono in tal modo un appagamento sostitutivo. Nelle psicosi gli impulsi rimossi non vengono repressi, ma proiettati. Essi non vengono accettati dal paziente come pfopri, ma attribuiti alla realtà esterna. Mentre i meccanismi paranoici sono falsificazioni della realtà esterna e di quella interna, le allucinazioni e le illusioni sono soltanto falsificazioni della realtà esterna. Mentre l'allucinato cambia il quadro del mondo esterno, il paranoico nega qualche cosa che è dentro di sé.

La combinazione di meccanismi neurotici e psicopatici negli stati di paranoia, può venire meglio illustrata dalla formulazione dinamica che Freud ha fatto dei deliri di persecuzione nascosti. Egli dimostrò che i desideri omosessuali passivi vengono repressi e sovracompensati da sentimenti di ostilità. L'inconscio: «ti amo», si trasforma nel cosciente «ti odio». Questa è una conseguenza tipica della repressione neurotica. Nella seconda fase, l'impulso ostile viene proiettato, e il «ti odio» si muta in un «tu mi odi». Di conseguenza, un desiderio omosessuale passivo represso è in fondo la base dinamica dei deliri di persecuzione. Questa è senza dubbio una etiologia frequentissima. Tuttavia, sembra che ogni intenso impulso ostile, qualunque ne sia l'origine, possa venire proiettato in altri, quando la funzione dell'io reattivo alla realtà è indebolita; sempre che l'impulso non possa essere represso o giustificato da moventi accettabili.

Queste due categorie di stimoli, la falsificazione della realtà e i sintomi paranoici, offrono una buona base per una classificazione delle varie forme di schizofrenia. I meccanismi paranoici somigliano più da vicino alle neurosi, perché le parti più altamente organizzate della mente funzionano ancora inalterate. Essi posseggono l'efficienza dinamica di un'io socialmente equilibrato, poiché i pazienti paranoici non possono sfuggire all'influenza del codice impersonato dal loro superio. Il fatto che proiettino i loro impulsi emotivi prova che non riescono ad accettarli. Non possono adoperare la repressione — metodo usato dai neurotici — perché il loro io non può escludere dalla coscienza quelle tendenze che il neurotico può invece celare o deformare. Lo psicopatico paranoico non può né reprimere né accettare tendenze avverse; la sua unica soluzione è quindi la proiezione. Le allucinazioni e le illusioni non presuppongono un conflitto così profondo, giacché esse sono unicamente soluzioni di un conflitto esistente tra l'io e la realtà esterna. Tali meccanismi sono perciò più infantili: corrispondono a uno stadio infantile di sviluppo, nel quale il conflitto tra le esigenze soggettive e la realtà non è ancora riprodotto nell'intimo quale conflitto tra le esigenze soggettive e il superio.

Le allucinazioni paranoiche occupano una posizione intermedia, giacché in esse le minacce della coscienza vengono proiettate nella realtà esterna, nel tentativo di liberarsene. Se ricordiamo che i criteri normali vennero assorbiti con l'assumere e incorporare i precetti educativi e morali dei genitori, le allucinazioni paranoiche possono considerarsi come una regressione al periodo nel quale l'io era controllato soltanto dagli altri, e il bambino sacrificava i propri desideri per paura delle sanzioni dei genitori.

Nella schizofrenia anche l'io perde la sua funzione sintetica che consiste nell'armonizzare le diverse e spesso contradditorie esigenze istintive. Attacchi aggressivi — improvvisi e immotivati — e l'istinto di autodistruzione sono chiari segni di disintegrazione della struttura dell'io. Mi sembra ingiustificato considerare le impulsive automutilazioni degli schizofrenici quali reazioni del rigido superio. È impossibile presumere che lo schizofrenico, il quale non può più sentire pietà o disgusto, e ha gusti copro filici, possa avvertire la necessità morale del castigo. Le automutilazioni sono simboli di autocastrazioni, e sono inoltre manifestazioni di desideri femminili solitari i quali si sfogano dopo che è venuta a mancare la funzione sintetica dell'io. Il comportamento maniaco polimorfo è l'espressione di esigenze istintive disorganizzate che hanno perduto ogni nesso tra di loro, e cercano sfoghi indipendenti.

Queste considerazioni indicano una distinzione tra due vaste categorie di schizofrenici: luna caratterizzata dalla prevalenza di allucinazioni e manie paranoiche, l'altra da semplici falsificazioni, allucinazioni e illusioni. La valutazione teorica e terapeutica di casi con pronunciati sintomi di paranoia, deve esser fatta in modo diverso dalle altre. I casi paranoici consentono una compartecipazione maggiore dei criteri acquisiti, e mostrano una struttura dell'io meno determinata. Un fattore comune in ambedue i casi, però, è la facilità con la quale lo psicopatico si distacca dalla realtà e la falsifica per adattarla alle proprie esigenze. La capacità di metter da parte la realtà è . una caratteristica della schizofrenia che la differenzia dalle neurosi, nelle quali è impossibile una fuga così completa dalla realtà stessa. Il neurotico le è troppo fedele per esser capace di negare la sua natura obbiettiva, e quindi deve risolvere il conflitto dentro di sé. Il rapporto dinamico tra l'io e le esigenze emotive, nelle psicosi e nelle neurosi viene esattamente capovolto. Nelle neurosi l'io prevale sulle istanze emotive, e il sintomo neurotico è una protesta degli impulsi, costretti entro certi limiti; nelle psicosi, l'io cede agli impulsi, e di qui l'apparente deficenza di repressione. Nelle psicosi, gli impulsi soverchiano l'io e questi abbandona la acquisita funzione di riconoscimento della realtà. Nel medesimo tempo, l'io perde l'altra sua funzione di armonizzare le diverse istanze istintive, e si dimostra debole sia di fronte alla realtà esterna che alla pressione dei primitivi e non sintonizzati impulsi istintivi.

La nostra conoscenza delle fasi dello sviluppo mentale ci consente una valutazione più precisa della differenza esistente tra psicosi e neurosi. Abbiamo molte ragioni per ritenere che i processi psichici dell'infante siano simili a quelli che gli adulti manifestano solo nella vita dei sogni; e siano anche simili alle allucinazioni degli schizofrenici. Molti anni fa, Bleuler parlò della similarità dei processi del sogno e delle manifestazioni schizofreniche. La differenziazione tra l'io e il mondo esterno è una delle prime conquiste nello sviluppo dell'individuo, ed è basata sull'accettazione del mondo esterno. Possiamo dire perciò, che lo psicopatico allucinato perde il suo primo adattamento alla realtà esterna, laddove nelle neurosi vengono turbati i successivi adattamenti sociali. Dobbiamo credere che i pazienti schizofrenici non abbiano fatto quel primo passo, e che la distinzione tra io e nonio non sia stata mai nettamente stabilita.

Le cause precipitanti delle psicosi emergono nell'adolescenza e nella maturità, e in effetti sono identiche a quelle che operano nelle neurosi. Nella sua fuga dai conflitti della vita adulta, lo psicopatico torna a una primissima epoca della sua vita, quando era incapace di distinguere tra fantasia e realtà; e precisamente questa gravità della regressione è caratteristica delle psicosi. La differenza evolutiva tra le psicosi e le neurosi è che l'adattamento alla realtà nelle prime è stato turbato molto presto, mentre nelle neurosi il turbamento data dai conflitti emotivi con altri, che sorgono all'epoca dello sviluppo del superio.

Poiché le fondamenta della schizofrenia vengono poste nella infanzia e nella prima fanciullezza, è ragionevole supporre che la costituzione ereditata ha qui un ruolo più importante che non nelle neurosi. È difficile immaginare che le sole influenze esterne siano responsabili di questo precoce indebolimento dell'io, il quale impedisce il più elementare adattamento alla realtà fisica, a menp che non si scoprano nella maggior parte dei casi insolite e vio lçnte influenze psicologiche, atte a spiegare questo precoce rifiuto della realtà. La costituzione ereditaria, tuttavia, opera nello sviluppo di tutte le personalità, e il suo rapporto con gli influssi ambientali è complementare. In circostanze estremamente sfavorevoli, anche una forte costituzione può soffrire un primo danno che si sviluppa più tardi in schizofrenia.

Dobbiamo ammettere che la teoria della costituzione è troppo generale per essere soddisfacente, ma sino a che non ne sappiamo di più, può servirci a non dare un'eccessiva importanza ai fattori psicogenetici. L'influenza dello sviluppo postnatale, è chiaro, in molti casi è veramente importante. Tutte le influenze che rafforzano il nesso con la realtà, tendono a renderla più accettabile a un io debole, e diminuiscono il ritrarsi degli psicopatici dalla realtà stessa. Similmente, tutte le successive influenze che rendono diffìcile all'io accettare la realtà esterna, aumenteranno la probabilità di un disordine schizofrenico. Un'adeguata teoria della schizofrenia deve però spiegare perché i conflitti e le influenze della vita successiva possono riportare queste personalità a uno stadio così primitivo di sviluppo. La incapacità di distinguere la realtà dalla fantasia, non può spiegarsi con le influenze susseguenti allo sviluppo di tale capacità. Le influenze traumatiche anche della tarda infanzia non possono essere responsabili dell'indebolimento di una facoltà acquisita in una fase anteriore di sviluppo. Molta gente non ama il mondo come esso è, ma soltanto gli psicopatici lo rifiutano così vigorosamente.

Gli ospedali psichiatrici moderni mostrano una comprensione intuitiva di tali questioni. La loro generale tendenza a creare per i malati un ambiente il più possibile piacevole, è una misura terapeutica in perfetta armonia con i concetti esposti. I risultati positivi della terapia «dell'applicazione» possono spiegarsi nella medesima maniera. Se il paziente trova un lavoro che può compiere con successo, egli sarà più incline a riadattarsi — almeno in parte — alla realtà, rinunciando a fuggirla. Quello di intonare, in questi istituti di cura, l'ambiente alle personalità degli schizofrenici, è il principio più coerente nei metodi terapeutici di H.S. Sullivan, il quale sostiene l'opportunità di informare anche l'ambiente umano alla vita emotiva dei pazienti, con l'impiegare quali infermieri personalità schizoidi, che non hanno più il senso naturale «del bene e del male», e che perciò sono in grado di comprendere le peculiarità del malato. Egli suggerisce uno speciale trattamento per questi «inservienti sensibili, timidi, ritenuti di solito minorati», allo scopo di insegnar loro a «non considerare più gli schizofrenici dei pazzi, secondo concetti più o meno tradizionali», e a vedere rassomiglianze significative tra i pazienti e chi si occupa di loro. Sullivan segnala risultati insolitamente buoni dovuti a tale metodo. Frieda FromReichman, Knight, e di recente Rosen, hanno applicato anch'essi questi sani princìpi terapeutici, che apparentemente si basano soprattutto su un forte, positivo transfert e controtransfert.

Il principio di scegliere infermieri con caratteristiche personali simili a quelle del paziente, va d'accordo con le osservazioni di H. Nunberg e di K. Landauer, sul ristabilirsi del rapporto tra il malato e il mondo esterno, fondato sulla identificazione con la o le persone con cui egli ha continui contatti. È ovvio che tale identificazione avviene più. facilmente con individui di una stessa conformazione emotiva. Ciò spiega anche la frequenza di accentuate tendenze omosessuali tra gli schizofrenici, poiché il loro rapporto omosessuale è pseudo-obiettivo, dato che si tratta essenzialmente di una identificazione narcisistica.

Esistono elementi i quali ci fanno supporre che la fuga degli schizofrenici dalla realtà, se prolungata nel tempo, può condurre a disfunzioni fisiologiche, probabilmente metaboliche, le quali possono determinare di nuovo una fuga emotiva. Nondimeno, sarà cbmpito della medicina psicosomatica fare ulteriori ricerche su questo argomento.

12. Fattori psicologici delle malattie organiche del cervello

Il contributo della psicoanalisi alle psicosi organiche, consiste principalmente nella comprensione dinamica del contenuto psicologico dei sintomi. Il contributo alla loro etiologia e terapia è scarso. Ciò è del tutto naturale, giacché molte psicosi sono dovute a seri cambiamenti organici del tessuto del cervello, come avviene appunto nelle psicosi postinfettive, tossiche e degenerative della vecchiaia. In questi casi però, i sintomi vanno considerati quali reazioni della personalità a tali trasformazioni organiche. L'esempio più noto ci è offerto dalla spiegazione delle idee di grandezza che si riscontrano in persone affette da paralisi generale, quali difese compensatorie dell'io contro la percezione del decadimento delle facoltà mentali (Ferenczi, Hollos). Il riempire le lacune della memoria con invenzioni fittizie nei casi di psicosi di Korsachow, aderisce ai princìpi psicodinamici, giacché il contenuto delle invenzioni è determinato da desideri inconsci. Nel delirio tossico, gli impulsi repressi determinano il contenuto delle fantasie.

Anche il contenuto psicologico delle psicosi senili è determinato dalla struttura della personalità e da precedenti conflitti. Il fattore principale è la reazione dell'io al declino fisiologico. Essa può essere una reazione sovracompensatoria, paranoica o depressiva; o può voler semplicemente negare il fatto dell'invecchiamento. La reazione sovracompensatoria può essere di un tipo adolescente, con iperattività maniaca, licenza sessuale, rafforzato spirito di competizione e di aggressione, millanteria, o negazione euforica del declino. Le reazioni paranoiche sono dovute alla proiezione degli impulsi ostili, mobilitati dalla percezione umiliante del declino. Le reazioni depressive sono causate dal volgersi degli impulsi ostili verso l'io medesimo.

13. Perversioni

Dal punto di vista descrittivo, si possono distinguere due categorie di perversioni sessuali: perversioni consistenti nella deformazione della natura degli impulsi sessuali, e perversioni in cui l'obbietto dell'appetito sessuale è anormale. Il sadismo, il masochismo, l'esibizionismo, il voyerismo e il travestitismo appartengono al primo gruppo: l'omosessualità, la pedofilia e la zoofilia al secondo. Nel feticismo, vengono alterati sia l'oggetto che la natura dell'appetito sessuale.

Le perversioni nascono dalla fissazione o regressione a prime forme immature di sessualità; ma la fissazione è più significativa. Tuttavia, anche nella regressione c'è una larga parte di fissazione.

In generale, il normale sviluppo sessuale di questi individui è stato interrotto da involuzioni emotive familiari, dovute al complesso di Edipo. A causa di questo, le forme pregenitali di soddisfacimento sessuale si conservano secondo certi particolari punti di fissazione. Tutta la tensione emotiva che l'io non può utilizzare e sfogare in una condotta equilibrata, può diventare la causa dell'eccitamento sessuale. La sessualità nella sua essenza è basata non sulla qualità, ma sulla quantità degli impulsi, e sul modo di dar loro sfogo. Le perversioni confermano questa tesi e mostrano una straordinaria varietà di differenti tensioni emotive che diventano l'unico contenuto dell'impulso sessuale.

Se un impulso aggressivo contribuisce ed è subordinato a scopi utili, come quello di superare un ostacolo o di assalire un nemico, non ha alcun carattere sessuale. Lo sfogo dell'aggressione e della ostilità, e l'infliggere un dolore, quali fini a se stanti, sono un fenomeno sessuale, e cioè sadismo. Nel bambino troviamo un costante accumularsi di impulsi aggressivi ostili a causa della sua debolezza e dipendenza dagli adulti, che impedisce il libero sfogo degli impulsi stessi. La crudeltà verso esseri più deboli, verso fratelli minori o piccoli animali, è lo sfogo sadico di questi sentimenti compressi. Quando un bisogno accumulato di punizione e di sofferenza si erotizza, diventa masochismo. L'analogo non sessuale del masochismo è contenuto nel principio della realtà, e implica il volontario assoggettarsi allo sforzo, o anche al dolore, se necessari, per raggiungere una meta agognata. Una vita frugale di sacrificio condotta per perseguire un ideale, non è masochismo, sebbene significhi una imposizione volontaria di dolore. Soltanto una persona che prova piacere nel punirsi e nel soffrire, considerandoli non un male necessario, ma fine a se stessi, può chiamarsi propriamente masochista.

Nell'esibizionismo, il bisogno del fanciullo di attirare l'attenzione, e il suo desiderio di colpire gli adulti con la vista del suo corpo, viene erotizzato. Il voyerismo è una manifestazione di curiosità, erotizzata.

Durante la crescita il bambino esercita le sue diverse facoltà in maniera erotica, per il suo proprio piacere. A causa della sua posizione dipendente, per sopravvivere non ha bisogno di adoperare queste facoltà. Tutto il surplus di energia si sfoga in tale maniera erotica e piacevole. Nel bambino, il desiderio di dominio, di sforzo penoso, di curiosità, il darsi delle arie, il bisogno di colpire l'attenzione altrui, sono tutte fonti di piacere erotico. Nella perversione queste precoci soddisfazioni erotiche continuano ad attrarre, perché è ostacolato uno sfogo sessuale e maturo. Lo stesso accade delle perversioni in cui la scelta dell'obbietto sessuale è normale, perché infantile.

Giacché l'impulso sessuale maturo assorbe molti dei primi elementi erotici, si dovrebbe essere portati a considerare le perversioni quali conseguenze della disintegrazione dell'istinto sessuale maturo nelle sue parti costitutive. Ciò è giusto solo parzialmente. Il fattore più importante nell'impulso sessuale maturo, è la manifestazione emotiva del fatto che l'organismo è ormai completamente sviluppato, e che il suo surplus di energia cerca uno sfogo costruttivo, sotto forma di amore e di procreazione. Questo, come è stato messo in rilievo prima, è un fattore nuovo, assente dalle precedenti fasi dell'esistenza. L'impulso sessuale maturo è determinato dalle tensioni emotive che non contribuiscono al l'autoconservazione, ma trascendono i limiti dell'individuo. Nella maturità lo sviluppo non è possibile; sessualità e amore esprimono una tendenza a trascendere questa limitazione. Un'altra ragione per la quale le perversioni non possono essere considerate meramente come la disintegrazione della sessualità matura, è che in molte di essé in realtà non ha mai avuto luogo la integrazione degli impulsi pregenitali in una sessualità matura.

I fattori emotivi responsabili di questa interruzione dell'evoluzione sessuale sono numerosi. La prevalenza delle ostili e competitive componenti del complesso di Edipo, è importante. La fissazione a questo spirito di competizione, unita alla rivalità tra fratelli, porta al sadismo. L'ansietà e il senso di colpa destati dallo spirito di competizione nella situazione edipica, e la rivalità, sono cause di masochismo e di omosessualità. In quest'intima forma, la competizione si evita con il sottomettersi al genitore rivale. L'identificazione col genitore dell'altro sesso, raggiunge il medesimo scopo. Noi vediamo spesso una interessante fissazione su scopi intermedi, connessi con la originaria situazione edipica. Per separare i genitori, un fanciullo può assumere un atteggiamento femminile e seducente verso il padre, che in seguito contribuisce allo sviluppo della sua omosessualità. Originariamente il far la corte al padre era subordinato al normale impulso edipico di separarlo dalla madre. Gradatamente, però, questo diviene un fine erotico a se stante (Silverberg).

Un altro fattore comune in certi tipi di omosessualità, è l'identificazione del bambino con la madre, che lo induce a dare al fratellino minore il genere di affetto che egli stesso voleva dalla madre, e a godere così di una soddisfazione sostitutiva. Similmente, nello sviluppo del masochismo dapprima il castigo alleviò il senso di colpa generato dall'ostilità verso il padre o la madre. A poco a poco la punizione stessa si erotizzò. Ciò avviene anche nel sadismo dove da principio le aggressioni verso un genitore o la rivalità tra fratelli avevano lo scopo di ottenere l'amore esclusivo dell'altro genitore. A poco a poco lo sfogo dello spirito aggressivo divenne fine a se stesso, quale sadismo sessuale.

Nel voyerismo la curiosità, all'inizio, aveva un ruolo subordinato nella situazione edipica, ed era favorito dall'interesse sessuale verso un membro della famiglia. Gradualmente la stessa curiosità divenne erotica. Nello stesso modo, nell'esibizionismo il desiderio del fanciullo di attrarre su di sé l'attenzione e l'ammirazione altrui, diventa uno scopo erotico. In ogni perversione c'è sempre una fissazione a uno schema specifico, atto ad alleviare le tensioni emotive troppo intense, suscitate dalla prima situazione familiare.

Il travestitismo ha componenti esibizionistiche e omosessuali, in una configurazione dinamica complessa.

Le origini del feticismo sono particolarmente intricate. Il fattore più importante qui, è il tentativo di controllare la paura schiacciante della castrazione, nata dalla scoperta che il bambino fa della differenza anatomica tra i sessi. Il feticcio può essere una parte del corpo femminile, o un lembo di veste che sostituisce i temuti genitali femminili. Esso ha sempre un carattere fallico, e nega l'assenza del pene nella donna. Il fatto che il feticismo sia una perversione soltanto maschile, si accorda con tale teoria.

Poiché ci stiamo limitando, in questo volume, a elementi fondamentali, non faremo una descrizione particolareggiata dei vari meccanismi psicodinamici responsabili delle fissazioni a queste forme precoci di sfogo erotico. Sembra che, a parte le vicissitudini emotive descritte, il «condizionamento» abbia un ruolo importante. Una volta che il bambino abbia scoperto certe forme di sfogo erotico, egli è portato a ripeterle. Il che è un esempio del principio d'inerzia. Sovente è possibile stabilire, durante il trattamento psicoanalitico, l'esperienza originaria condizionante che fornì la base a una particolare perversione. È importante però tener presente che tali esperienze condizionanti nella fanciullezza, diventano patogenetiche soltanto se il normale sviluppo sessuale viene bloccato da conflitti emotivi insolubili, causati da esperienze fatte nelle prime situazioni familiari.